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venerdì 28 giugno 2013

Cactus cambriani

Nel vasto panorama dei Lobopodia cambriani si trovano spesso animali quantomeno bizzarri, notevolmente diversi per aspetto da qualsiasi animale vivente e che, spesso, hanno tenuto in scacco gli specialisti grazie alla loro stranezza. Basti pensare per esempio a Hallucigenia (qui il mio articolo), la cui anatomia è talmente curiosa da essere stata per quindici anni interpretata in maniera assolutamente errata. Nel vasto panorama di queste strane creature, molto probabilmenti affini ad Onychophora all'interno del superphylum Panarthropoda, si trovano pertanto organismi dalle affinità incerte; uno di questi, Diania cactiformis Liu et. al., 20011.

Un cactus semovente


Le immagini a, b, c e d rappresentano l'esemplare ELI-WD006A,B, ololotipo di Diania cactiformis, impronta, controimpronta e disegno in camera lucida; le immagini e e f raffigurano invece l'esemplare  ELI-WT002A,B. La scala è di 10 millimetri. Le sigle stanno per: aba, anellamento alla base delle appendici; an, anelli; bds, base delle spine dorsali; dls, strutture a disco; fls, strutture a piega; jls,strutture simili a giunture; la, appendice sinistra; mt, tessuto muscolare; pr, proboscide; ra, appendice destra; pp, protusione posteriore; tis, aculeo minuscolo; tu, tubercolo; wr, ruga (da http://www.nature.com/nature/journal/v470/n7335/fig_tab/nature09704_F1.html)

Si tratta di un curioso Lobopodia dall'aspetto effettivamente simile a quello di una sorta di pianta grassa con le zampe (da cui il nome specifico), proveniente dalla Heilingpu Formation, risalente al Piano 2 del Cambriano (ovvero tra i 525 e i 520 milioni di anni fa). Il tronco di questo organismo, lungo 6 centimetri, presenta dieci paia di robuste appendici, significativamente più robuste rispetto a quelle di altri Lobopodia, con la caratteristica di allargarsi distalmente fino ad essere più larghe del tronco con un diametro di oltre 2.4 millimetri. Nell'olotipo il paio di zampe più lungo sembra essere il settimo. Essendo la parte superiore del corpo pressoché uguale a quella inferiore, è difficile capire su quale lato gli esemplari si siano prevalentemente conservati. La struttura degli arti presenta delle vistose annulature, distinguibili in due morfologie: una, prossimale al corpo, dove gli anelli sono fino a 7 e più ravvicinati, ed un'altra, distale, dove invece sono  fino a 15, più distanziati e presentano spine. Questi aculei sono in certi casi lunghi fino a 1.6 mm. con una base di 1 mm., rappresentando il più rimarchevole tratto di questa specie. Una delle peculiarità di questo organismo è che gli arti non sembrano terminare con un paio di artigli, come nel caso di altri Lobopodia come Hallucigenia, ma soltanto con altre spine morfologicamente identiche alle altre presenti sugli arti. All'interno degli arti è stato individuato un canale centrale, collegato al corpo e comunemente interpretato come una cavità piena di liquido avente la funzione di scheletro idrostatico, compatibile con il fatto che le appendici non sono sclerotizzate. Il tronco è una struttura cilindrica ed allungata, con una larghezza media di circa 2.4 mm. e con dei fini solchi ad anello presenti in numero di circa 4-5 ogni millimetro. Ogni anello presenta cinque o sei strutture simili a papille, in maniera non molto dissimile da Aysheaia peduncolata Walcott, 1911. Purtroppo, a differenza di altri membri di questo phylum, non è stato possibile riscontrare resti di un apparato digerente. In corrispondenza di ogni paio di arti si trovano delle strutture a disco, probabilmente degli ingrossamenti del corpo aventi la funzione di sorreggere le appendici, una caratteristica unica tra i Lobopodia sinora ritrovati. Una delle estremità del corpo è più lunga ed affusolata rispetto all'altra, tuttavia non sono stati ritrovati organi sensoriali e pertanto è difficile dire con certezza se si tratti di una proboscide oppure no.
E' difficile stabilire lo stile di vita questo organismo, tuttavia gli arti sono situati in posizione laterale, diversamente rispetto ad altri Lobopodia camminatori come Hallucigenia dove sono chiaramente siti ventralmente; inoltre, sono privi di artigli e non hanno spine sul lato inferiore. Pertanto, c'è la possibilità che Diania strisciasse ventre a terra sul fondale oceanico. L'assenza inoltre della preservazione del tratto digerente, a causa della mancanza di sedimenti al suo interno, porta a ritenere che si trattasse di un saprofago.

Questioni da piante grasse

L'analisi cladistica, basata su 42 caratteristiche e 27 taxa, è molto interessante e suscita scalpore perché non solo colloca Diania alla base di un gruppo di Lobopodia cambriani, ma anche perché sembra sconvolgere la monofilia di questo gruppo e le presunte strette relazioni di Diania con Arthropoda.


Il cladogramma: Diania sarebbe alla base di uno dei tre distinti filoni  in cui si suddividerebbe Panarthropoda (da Ma et al., vedi bibliografia)

Infatti, la peculiarità di questa analisi è l'identificazione di tre gruppi all'interno di Panarthropoda: il primo è costituito dagli Onychophora e dai Tardigrada odierni più alcune forme fossili (incluso Aysheaia), il secondo da diversi Lobopodia cambriani incluso Diania (che risulta essere una forma basale) il terzo infine sarebbe un gruppo parafiletico includente tra gli altri Megadictyon (il quale non è imparentato in maniera più o meno stretta con Hallucigenia, tra l'altro), Dinocaridida ed Arthropoda.  Questo studio contraddice anche l'analisi cladistica pubblicata su Nature nel 2011, la quale invece presentava questo organismo come una sorta di anello di congiunzione tra i Dinocaridida e gli Arthropoda. Pertanto, è difficile dire quali siano le affinità più prossime di Diania, e sorgono da questo studio nuove problematiche inerenti la monofilia di questo gruppo di misteriosi misteriosi animali.

BIBLIOGRAFIA

Liu, Steiner, Dunlop, Keupp, Shu, Ou, Han, Zhang & Zhang, "An armoured Cambrian lobopodian from China with arthropod-like appendages", Nature 470, pp. 526-530, 2011
Ma, Edgecombe, Legg & Hou, "The morphology and phylogenetic position of the Cambrian lobopodian Diania cactiformis", Journal of Systematic Palaeontology, 2013

lunedì 27 maggio 2013

Arthropodization in Progress

La filogenesi degli Arthropoda primordiali è assai complicata e, in definitiva, piuttosto incerta. A fianco infatti degli Euarthropoda (i "veri" appartenenti a questo gruppo), abbiamo vari esempi di organismi con essi imparentati ma mancanti di diverse caratteristiche ad essi associati; cioè, abbiamo degli animali a vari stadi di artropodizzazione ma che non sono ancora pienamente associabili con gli illustri parenti. Basti pensare ai Dinocaridida, con i loro occhi composti e gli arti raptatori articolati: sebbene appartengano ad un phylum a parte, non per questo non mostrano comunque segni di una artropodizzazione “in corso”. Pertanto, ogni nuova specie che contribuisca a risolvere questo caos, tra Arthropoda veri e propri, e creature che assomigliano a (o che addirittura sono quasi) questi ultimi ma non lo sono, è un balsamo. Inoltre, la domanda più interessante riguarda l'origine della “artropodità”, cioè delle caratteristiche che uniscono i membri di questo gruppo: a cosa serve avere un corpo parzialmente ricoperto da un esoscheletro di chitina, a differenza di quello degli Arthropoda moderni? Inoltre, quali vantaggi rilevanti poteva offrire una completa sclerotizzazione della superficie esterna, oltre a quelli ovvi come protezione contro i predatori? L'analisi cladistica e la scoperta di una nuova specie appartenente a questo stem-group propongono nuove ed interessanti spiegazioni.

Un gambero di nome
Nereocaris


a) ROM 61831, olotipo di Nereocaris. b) ROM 61832, paratipo. c) ROM 61833, paratipo. d) Dettaglio della regione oculare di ROM 61833; evidenziata nell'immagine c). e) Dettaglio delle appendici toraciche di ROM 61831, evidenziate nell'immagine a. f) Dettaglio dello stomaco di ROM 61833, evidenziato nell'immagine c. Le sigle significano: ah, uncini anteriori; as, somiti addominali; dk, rostro dorsale; en, endopodite; ep, peduncolo oculare; ex, esopodite; gut, stomaco; le, occhi laterali; ltp, processi laterali del telson; lv, valva sinistra; mg, ghiandole dell'epatopancreas;  mtp; processo mediale del telson; pm, materiale fotorecettivo; sf, orlo setoso; ts, segmenti del torace (da  http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/279/1748/4699/F1.expansion.html)


Nereocaris exilis Legg et al., 2013 è un Arthropoda proveniente dal Burgess Shale, pertanto appartenente al Piano 5 del Cambriano (intorno ai 510-505 milioni di anni fa). Si tratta di un organismo di dimensioni medio-grandi per il biota dell'epoca, dato che l'esemplare più lungo rinvenuto misura 142 millimetri dal confine superiore del carapace all'estremità del telson. Il carapace è di forma semi-ovoidale, lateralmente compresso (per questo gli esemplari sono conservati su un fianco), con una apertura frontale stretta che si espande notevolmente fino al margine dorso-ventrale posteriore dove si espande con un rostro quasi triangolare. Il margine posteriore è solo leggermente curvo. Sono presenti dei processi simili a dei corti uncini nel margine anteriore-ventrale. Sebbene la regione cefalica, scarsamente preservata, non presenti tracce di appendici, è possibile riconoscere due occhi composti peduncolati, aventi nei resti fossili sinora ritrovati un diametro massimo di 2.3 mm. La regione centrale di ogni occhio è costituita da un materiale altamente riflettente che si estende all'interno del peduncolo, interpretato come i resti fossilizzati del tessuto fotorecettivo. Tra i peduncoli si trova una protuberanza lunga fino a 3.9 mm. ; la presenza di una sostanza riflettente induce a ritenere che non si tratti di un'estrusione del carapace bensì di un occhio mediano particolarmente sviluppato, in maniera simile a Jugatacaris agilis Fu & Zhang, 2011. Gli arti sono biramosi, comprendenti un endopodite lungo fino a 8.6 mm. composto da 10 podomeri e da un piccolo esopodite semi-ovale con una fine peluria. Apparentemente, le appendici si trovano solo nel torace e diminuiscono di taglia via via che si avvicinano al margine posteriore del carapace. Il torace non è molto sclerotizzato, composto da 30-40 segmenti ad anello; sebbene sia assai plausibile, non è possibile dimostrare irrefutabilmente che ad ogni paio di appendici corrisponda un segmento. Invece, l'addome è molto allungato (occupa circa il 70% della lunghezza totale dell'animale) e ben sclerotizzato, nonostante i 60 somiti non siano distinti in tergiti e sterniti bensì costituiscano un unico anello.  I somiti prossimali al corpo sono più ampi rispetto a quelli distali. All'interno dell'addome è stata trovata una struttura mediale interpretata come lo stomaco, terminante con il telson. Si rinvengono anche delle strutture  che potrebbero essere delle ghiandole dell'epatopancreas. Infine, il telson porta tre gruppi di strutture spinose, caratterizzate da due processi laterali composti da tre elementi, di cui la componente più prossimale presenta delle corte spine lungo il processo posteriore-laterale mentre le parti distali sono più lunghe (fino a 33 mm.), spinose ed apparentemente fuse, e da uno mediale, lungo fino a 6 mm. e semi-triangolare. 
Plausibilmente, Nereocaris era un animale necto-bentonico, che sfruttava la parte posteriore del corpo per muoversi anziché le appendici toraciche, poco efficienti sia per camminare sul fondale sia per nuotare. La presenza di un rostro dorsale, dalla funzione simile ad una pinna, ed i processi del telson indicano che doveva essere molto agile oltre che veloce, e lo sviluppato apparato visivo doveva essere molto utile per accorgersi di eventuali pericoli. La cattiva preservazione delle appendici cefaliche non rende possibile determinare le modalità di alimentazione, sebbene l'assenza di apparati raptatori e masticatori adeguati porti ad escludere che si possa essere trattato di un organismo predatore. 

Arthropoda ed artropodizzazione



Cladogramma riguardo all'origine degli Arthropoda includente Nereocaris. I numeri alla base di ogni rappresentano ognuna delle caratteristiche artropodali visibili a fianco, e significano: 1, occhi composti; 2, braccia articolate; 3, arto biramoso e tronco di tipo artropodale; 4, veri arti raptatori; 5, sterniti ventrali distinti; 6, riduzione dei podomeri e presenza di una gnatobase rigida; 7, antenne; 8, madibole (da Legg et. al., vedi bibliografia)

Nereocaris appartiene al gruppo parafiletico dei cosiddetti "Arthropoda bivalvi", un clade che raggruppa una quantità di curiosi organismi ancestrali. In base all'analisi cladistica è stato possibile appurare che si tratta di un Arthropoda basale, anzi forse persino il più basale; addirittura, si può azzardare grazie a questo fatto una distinzione tra ciò che appartiene a quest'ultimo phylum e ciò che, invece, è stem-group o comunque sia appartenente al superphylum Panarthropoda. Si può definire, in base a questo cladogramma, che appartiene al phylum Arthropoda un organismo celomato (quale che sia la validità di questa categoria) schizocelico  a simmetria bilaterale, munito 1) primitivamente di occhi composti 2) di appendici articolate 3) primitivamente di appendici del tronco biramose ed articolate 4) di un esoscheletro del tronco di tipo artropodale (articolato e più o meno sclerotizzato, con una cuticola composta prevalentemente di chitina). Diciamo che, sulla base di questa nuova specie, sono queste caratteristiche il minimo comune denominatore per distinguere ciò che è realmente Arthropoda da ciò che non lo è; come si può notare, mancano infatti tutta una serie di tratti più derivati che si trovano invece negli Euarthropoda (quali le mandibole) e in altri organismi estinti (come arti raptatori e distinti sterniti ventrali). 
Una delle altre conseguenze di questa analisi è una possibile spiegazione riguardo all'origine dell'"artropodità": difatti, se Nereocaris era un organismo attivamente natante e si colloca alla base del gruppo, visto e considerato che anche gli Anomalocarididae (che sono il taxon più vicino agli Arthropoda conosciuto allo stato attuale) sono liberamente natanti non è lecito ritenere che lo sviluppo dei tratti tipici solo di Arthropoda (cioé appendici biramose ed articolate, nonché di un tronco di tipo artropodale)  si sia verificato per facilitare uno stile di vita natante? In fondo, un esoscheletro rigido permette un'inserzione più efficiente della muscolatura per il nuoto rispetto ad un corpo molle. Questa tesi è interessante perché non vede più un'origine strettamente bentonica o persino fossoria di questi animali, anzi è esattamente contraria a questa interpretazione e rimuove i cosiddetti "Megacheira" (quale che sia la validità effettiva di questo gruppo parafiletico) dal rango di taxon più basale, sostituendolo con gli "Arthropoda bivalvi".

BIBLIOGRAFIA

Fu & Zhang, "A New Arthropod Jugatacaris agilis n. gen. n. sp. from the Early Cambrian Chengjiang Biota, South China", Journal of Palaeontology 85(3), pp. 567-586, 2011
Legg, Sutton, Edgecombe & Caron, "Cambrian bivalved arthropod reveals origin of arthrodization", Proceedings of the Royal Society B 279, pp. 4699-4704, 2012

sabato 18 maggio 2013

Pardature trilobitiche

Uno dei fattori più difficili da fossilizzarsi è la colorazione. In effetti, gli esempi di tracce di pigmento pervenute a noi attraverso i millenni sono scarsi e da attribuirsi a fattori di fossilizzazione eccezionali. Pensiamo ad esempio ai mammuth, Mammuthus primigenius Blumenbach, 1799, dai cui corpi congelati nella morsa del gelo siberiano sono stati ricavati peli più o meno castani, o anche al piccolo dinosauro del tardo Giurassico Anchiornis huxley Xu et. al, 2009, dai cui resti incredibilmente ben conservati è stato possibile capire che il piumaggio doveva essere grigio, nero e rosso. E' un peccato che questi eventi siano così rari, dato che la colorazione è un fattore fondamentale nelle relazioni interne ad una biocenosi: dal mimetismo alla segnalazione sessuale, buona parte del modo di vivere degli organismi è legato alla percezione del colore; pertanto, la perdita della colorazione nella maggior parte dei fossili è indice inevitabilmente di una grande quantità di informazioni in meno sul modus vivendi degli animali. Tuttavia, non sempre è così, e a volte rimangono tracce di pigmentazioni ben più antiche del Giurassico.

Trilobita con le chiazze


Una foto di alcuni degli esemplari chiazzati: la lunghezza della scala è di un centimetro, tranne nell'esemplare B in cui è di mezzo centimetro (da http://geology.gsapubs.org/content/41/5/607/F2.expansion.html)


Da un recente studio compiuto su 25 Eldredgeops rana (Green, 1832) (solitamente noto come Phacops rana) del Givetiano (medio Devoniano, circa tra 388 e 382 milioni di anni fa) di New York è stato possibile capire il disegno della livrea di questi Arthropoda quando erano in vita. Su questi fossili, molto ben conservati, sono presenti dei piccoli gruppi di chiazze, non corrispondenti a tubercoli o simili escrescenze. Usando lo studio della sezione sottile e del SEM (scanning electron microscope, microscopio elettronico a scansione) è stato possibile appurare che appartengono allo strato più esterno dell'esoscheletro, e non si trattano pertanto di difetti di fossilizzazione indipendenti dalla morfologia degli animali. Ulteriori prove di ciò sono le strutture lamellari ed i pori interni a queste zone, privi di difetti e ben visibili. Inoltre, molte di queste chiazze hanno un contorno netto, a meno che non siano parzialmente sovrapposte. Infine, l'analisi con metodi WSD (wavelength dispersive spectrometry, spettrometria della dispersione delle lunghezze d'onda) e EDX (energy dispersive X-ray, dispersione dell'energia dei raggi-X) hanno indicato che la composizione delle chiazze è pressoché identica a quella del resto del fossile, essendo formate prevalentemente da calcite povera di magnesio. Quindi, le macchie non indicano degli accumuli locali di determinati minerali, conseguenza di difetti di fossilizzazione, bensì erano già presenti nell'organismo ancora in vita; ed il fatto che si trovino nella zona più esterna dell'esoscheletro e siano parte di esso (e che, quindi, non possano essere stati causati da eventuali organismi epibionti, né tantomeno siano luoghi d'inserzione di eventuali muscoli, dato che sono troppo superficiali) è compatibile col fatto che si trattino dei resti della colorazione. In effetti, questi segni potrebbero essere stati evidenziati dai processi diagenetici, tuttavia non è insensato ritenere alla luce di quanto detto prima che Eldredgeops avesse una livrea maculata e che questa possa essersi fossilizzata dato che, per esempio,  altri Arthropoda come i Crustacea (nonostante abbiano una struttura dell'esoscheletro diversa rispetto a Trilobita) hanno una pigmentazione associata a componenti calcificate. 

Resti famosi, colorazioni rare

Chiaramente, questa scoperta non indica quali siano stati i reali colori di questi Phacopida quando erano in vita, né tantomeno se fossero l'unica pigmentazione presente. Tuttavia, è interessante notare come anche un Trilobita molto noto e studiato (il mercato, soprattutto di falsi, dei resti di questo animale provenienti dal Marocco è ben sviluppato) continui a riservarci sorprese. Allo stesso tempo, questa scoperta non ci permette di dire a cosa servissero le maculature (una colorazione aposematica? O un disegno mimetico? O magari un pattern utile per il riconoscimento del partner, dato che in questi organismi gli occhi composti erano molto ben sviluppati?), però è notevole come anche un animale apparentemente "banale" e ben conosciuto possa continuare a riservare delle sorprese.

BIBLIOGRAFIA

McRoberts et. al., "Original spotted patterns on Middle Devonian phacopid trilobites from western and central New York ", Geology, vol. 45, no. 5, 2013

venerdì 17 maggio 2013

Nuovi Arthropoda, vecchia storia

Non è una novità l'invenzione di nuove categorie tassonomiche o una revisione delle affinità sistematiche, specialmente per quanto riguarda organismi molto lontani rispetto a noi nel tempo. Diversi animali un tempo ritenuti appartenere a determinati gruppi sono stati riassegnati ad altri taxa, per esempio, o persino ne sono stati creati appositamente di nuovi; e questo non solo riguardo a generi, specie o famiglie, ma persino a classi e phyla. Prendiamo ad esempio il caso dei Dinocaridida: dopo che si è riconosciuta nei resti fossili una unicità rispetto alle altre forme, si è provveduto a riunirli in una classe a parte collocata in Lobopodia nonostante fossero stati in passato ritenuti, per esempio, degli Arthropoda (che poi quest'ultimi siano effettivamente oppure no un crown-group o un sister-group, da collocarsi all'interno di un superphylum denominato Panarthropoda,  è ancor oggi oggetto di discussione). 

Piedi lamellati

Delle recenti scoperte hanno portato al taxon proposto dei Lamellipedia che, sulla base dell'analisi cladistica, risulta monofiletico. Praticamente, si tratterebbe di un gruppo di Arthropoda muniti di pigidium e di arti dotati di caratteristiche setole appaiate a formare delle lamelle, da cui il nome. In questa superclasse sarebbero da collocarsi diverse classi come Trilobita (ma non l'ordine Agnostida, che potrebbe essere pertanto uno stem-group) e Nektaspida, per citare i più famosi; tuttavia, le relazioni effettivamente esistenti tra questi gruppi sono ancora oggetto di dibattito. La scoperta di Arthroaspis bergstroemi Steim, Budd, Peel & Harper, 2013 contribuisce a questa discussione con nuovi ed importanti elementi, soprattutto riguardo all'evoluzione del primo taxon.

Uno scudo con le zampe



L'olotipo di Arthroaspis bergstroemi, MGUH 30382, impronta e controimpronta:  af sta per solchi assiali, C/T per limite cefalotoracico, cgd diverticula dell'epatopancreas del cephalon, en per endopodi, ex per esopoditi, ms per spine marginali del pigidiumOS per segmento occipitale, P1 per primo segmento del pigidium, T per tergiti (da Steim et. al., 2013, v. bibliografia)


Il nuovo organismo proviene dalla Groenlandia, più precisamente dal Sirius Passet Lagerstätte, collocato nel Piano 2 del Cambriano, ovverosia tra circa 521 e 514 milioni di anni fa. Si tratta di un Arthropoda di grandi dimensioni per il biota dell'epoca, raggiungendo i 215 millimetri di lunghezza, distinto sia dai membri dell'ordine Helmetiida a causa del cephalon semi-ellittico e privo di alloggi per lo sclerite preipostomiale (ovverosia precedente l'apparato boccale), sia dai Nektaspida per la glabella (il processo assiale tipico, per esempio, dei Trilobita) rialzata e segnata da dei solchi assiali, nonché per il segmento occipitale demarcato da degli anelli. Il margine del cephalon è delimitato da uno stretto ma netto distinto bordo, ben distinguibile dorso-ventralmente dal torace, composto da 14 tergiti trilobi. Il pigidium, composto da 11 segmenti, è lungo più di un terzo del tronco. In effetti, Arthroaspis è molto interessante perché presenta caratteristiche che ricordano  vari elementi tipici dei tre ordini sopraccitati, inclusa la presenza di arti molto simili a quelli dei Trilobita.

Sorprese cladistiche



L'analisi cladistica pubblicata su Steim et. al, 2013 (v. bibliografia)


L'analisi cladistica ha confrontato questo organismo ed altri appartenenti alla superclasse (inclusi Nektaspida e Trilobita)  e non (come dei membri di Crustacea e Chelicerata), prendendo in esame 74 caratteri. Da questa analisi non solo è stato possibile determinare che Lamellipedia sarebbe un sister-group monofiletico della superclasse Pancrustacea, e pertanto non strettamente imparentato con Chelicerata, ma anche che Arthroaspis ricade nella porzione basale di Trilobita assieme a SinoburiusPhytophyilaspis. Tra l'altro, ciò indica che la struttura del tergum degli Helmetiida è plesiomorfica in Lamellipedia.
In conclusione, questa nuova scoperta pone le basi per porre in relazione diversi Arthropoda arcaici con Trilobita, gettando nuova luce sull'origine di questa famosa classe.

BIBLIOGRAFIA

Steim, Budd, Peel & Harper, "Arthroaspis n, gen., a common element of the Sirius  Passet Lagerstätte (Cambrian, North Greenland),  sheds light on trilobite ancestry", BMC Evolutionary Biology 2013, 13 (99), 2013

sabato 11 maggio 2013

Una nuova famiglia di Arthropoda dalle grandi appendici dal Canada

E' stata appena descritta una nuova famiglia di Arthropoda cambriani appartenenti al gruppo parafiletico dei Megacheira (cioè con "grandi artigli", indicativo delle notevoli dimensioni degli arti raptatori presenti tra i membri di questo gruppo di scarsa validità sistematica), i Kootenichelidae. La famiglia è stata istituita sulla base della nuova specie Kootenichela deppi Legg, 2013. All'interno della medesima famiglia sono stati inoltre collocati i generi Worthenella, uno dei fossili di Arthropoda enigmatici provenienti dal giacimento del Burgess Shale,  Jianfengia e  Tanglangia, nonché è probabile l'appartenenza anche di Pseudoiulia cambriensis Hou & Bergström, 1998. 


Immagine dell'impronta dell'olotipo ROM 59948 di Kootenichela deppi e ricostruzione


L'animale, risalente al Piano 5 del Cambriano (tra i 510 e i 505 milioni di anni fa) della Stephen Formation, ha in effetti un aspetto piuttosto curioso che ha permesso di gettare nuova luce sulla reale collocazione di alcuni Arthropoda enigmatici.

Falsi millepiedi

Kootenichela deppi, il cui esemplare tipo è lungo 43.5 mm., è caratterizzata da un corpo lungo ed affusolato, composto da almeno 29 segmenti, ciascuno dei quali porta un solo paio di appendici  (caratteristica, questa, ancestrale in Arthropoda). Non ci sono evidenze della presenza di gnatobasi. Ad ogni modo la caratteristica più saliente è la presenza di due notevoli appendici raptatorie situate frontalmente (da cui è anche stato tratto il nome scientifico: "deppi" rimanda all'attore Johnny Depp, protagonista del film "Edward Mani di Forbice"), sicuramente usate a scopo predatorio. Non è possibile tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, fornire dei dati riguardo allo stile di vita di questo animale: sebbene possa essere stato persino nectobentonico e capace di nuotare per prolungati periodi di tempo, è più probabile che si trattasse di un organismo primariamente bentonico o fossorio. 
Effettivamente, l'aspetto complessivo di questo animale assomiglia all'unione tra un Myriapoda ed uno Stomatopoda, con un corpo munito di svariati segmenti dotati di arti e due grandi appendici atte alla predazione. Grazie all'analisi cladistica è stato possibile aggiungere ai Kootenichelidae anche Worthenella cambria Walcott, 1911, ritenuto sinora essere un organismo dalle incerte affinità con Arthropoda.


Impronta e controimpronta a luce polarizzata e non di USNM 57643, olotipo (e sinora unico resto) di  Worthenella cambria


In effetti, come per altre "stranezze cambriane", anche in questo caso la colpa dell'incertezza assoluta riguardo alle affinità sistematiche di quest'ultimo animale (nonché, probabilmente, anche di Pseudoiulia, sebbene in questo caso non ci siano sufficienti prove per un'attribuzione certa alla nuova famiglia) risiede in una cattiva conservazione del reperto, con il cephalon seriamente danneggiato (e, di conseguenza, mancante delle caratteristiche appendici).
L'attribuzione dell'animale alla famiglia Kootenichelidae è stato possibile reinterpretando i resti di corti appendici non come dei parapodi bensì come i tratti prossimali degli arti (più spessi, e quindi più facilmente conservabili, delle zone distali), oltre alla presenza di occhi (sia pure mal conservati), di evidenti parti sclerotizzate del corpo e  di oltre 50 segmenti.

BIBLIOGRAFIA

Conway Morris, "Middle Cambrian Polychaetes from the Burgess Shale of British Columbia", Philosophical Transaction of the Royal Society B, vol. 258 no. 1007, pp. 227-274, 1979
Legg, "Multi-segmented arthropods from the middle Cambrian of British Columbia (Canada)", Journal of Paleontology, vol 87 (3), pp. 493-501, 2013

mercoledì 8 maggio 2013

Scherzi d'autore

Dopo i molti post dal contenuto fin troppo serio, ho deciso di pubblicare un elenco dei più strampalati nomi scientifici pubblicati. Sebbene questo articolo sia chiaramente incompleto (per esempio ho evitato di mettere tutti quei nomi dedicati a questo o a quel cantante o attore), vorrei condividere questo elenco di nomi strepitosi, che indicano una vena di umorismo e doppi sensi neppure troppo nascosta tra i tassonomi, di cui molti ignorano l'esistenza.

Theora cadabra (Eames & Wilkins, 1957)

Originariamente, il genere del piccolo Bivalvia era Abra...

Agra vation Erwin, 1983




Sebbene il Carabidae in sé non provochi seccature (anzi, a dir la verità non ha caratteristiche incisive sugli altri membri della propria famiglia, eccetto il nome), ciò non toglie che sia stato nominato così visto il non poco sforzo necessario per catturarlo.

Aha ha Menke, 1977

Menke battezzò questa vespa australiana, appartenente alla famiglia dei Crabronidae, così dato che quando la vide la prima volta disse "Aha!".

Carmenelctra shechisme Evenhuis, 2002



(da http://adictamente.blogspot.it/2012_07_19_archive.html)

Leggendolo all'inglese, il nome binomiale di questo Diptera fossile appartenente alla famiglia dei Mythicomyiidae è "Carmen Electra she kiss me", rimandando a baci dati dalla famosa attrice e cantante americana.

La cucaracha Blesynski, 1966

Questa falena appartenente alla famiglia dei Crambidae è forse quella dal nome più evocativo e caratteristico, che rimanda alla famosa canzone messicana; sono altresì presenti tra gli altri La paloma Blesynski, 1966 ("la colomba"), La cerveza Landry, 1995 (cioè "la birra"), La bombacha Labdry, 1991 (come i caratteristici pantaloni). Diciamo che con un nome del genere di questo tipo è impossibile resistere dal fare giochi di parole durante la pubblicazione di nuove specie. 


In origine il genere di questa piccola salamandra priva di polmoni, appartenente alla famiglia Plethodontidae, era Oedipus, rimandando al famoso complesso di Edipo.

Pieza kake Evenhuis, 2002




Il nome di questo minuscolo Mythicomyiidae significa, chiaramente, "piece of cake", pezzo di torta.

Pollychisme, Peggichisme, Marichisme, Dolychisme e Florichisme

Opera dell'entomologo G.W. Kirkaldy, anche questi generi di Hemiptera rimandano a baci dati ad altrettante ragazze.

Thetys vagina Tilesius, 1802



La forma tubolare del corpo di questo Tunicata, in effetti, ricorda superficialmente l'apparato genitale femminile...

BIBLIOGRAFIA

Brusca & Brusca, "Invertebrati", Zanichelli, 1996

martedì 30 aprile 2013

Stranezze cambriane, capitolo IV: resti allucinanti

Con questo post si conclude la quadrilogia sulle "stranezze cambriane": dopo aver affrontato gli strani casi riguardanti Nectocaris, gli Anomalocarididae e curiosi Mollusca (o organismi che assomigliano a dei Mollusca) del Paleozoico e le loro curiose interpretazioni storiche, derivanti da fossili incompleti e incompresi, è ora di occuparsi dell'animale che forse più di tutti rappresenta degnamente l'intera categoria: si tratta di Hallucigenia sparsa Conway Morris, 1977.

Un fossile allucinante

Quando il professor Conway Morris descrisse il minuscolo olotipo (si parla di neppure 0,3 centimetri), si accorse fin da subito che si trattava di qualcosa che non assomigliava a niente di conosciuto. L'esemplare infatti presentava due paia di lunghe spine ed una curiosa serie di sette tentacoli artigliati dalla parte opposta; inoltre, la controimpronta mostrava una strana struttura rotondeggiante, vagamente simile ad una regione cefalica ma apparentemente priva di organi di senso. Come se non bastasse, la regione (apparentemente) terminale del corpo si incurvava in una sorta di "coda", con alla base altre due paia di tentacoli rivolti verso l'alto. L'organismo che ne risultava, in effetti, era decisamente allucinante, come indicava il suo nome. L'unica spiegazione che fu proposta era che le spine in realtà fossero delle zampe lunghe e rigide, simili a trampoli, sfruttate da Hallucigenia per camminare sui fondali fangosi dove viveva. 

USNM 83935, l'olotipo di Hallucigenia sparsa; impronta e controimpronta, sotto luce polarizzata o  meno ( da http://burgess-shale.rom.on.ca/en/fossil-gallery/view-species.php?id=60&m=3&)

Una immagine storica di Hallucigenia, di cui è possibile ammirarne tutta la stranezza (da http://palaeos.com/metazoa/ecdysozoa/panarthropoda/hallucigeniidae.html)


Tuttavia, anche questa interpretazione lasciava adito a diversi dubbi. Anzitutto, Hallucigenia era realmente un organismo singolo o si trattava dell'appendice raptatoria di un animale ben più grande, come nel caso di Anomalocaris? Supponendo però la sua "indipendenza", in quale gruppo di animali doveva essere collocato? Nessun phylum di organismi viventi sembrava adatto allo scopo: il cephalon globulare presente in alcuni esemplari (ma apparentemente privo di organi di senso), le due file di spine, i tentacoli dorsali e lo strano "addome" tendente verso l'alto non lasciavano intravvedere somiglianze evidenti con nessun altro gruppo, moderno o estinto. Addirittura i tentacoli furono interpretati persino come un serie di proboscidi boccali, collegate ad un tubo digerente centrale e che pertanto avrebbero indicato che o Hallucigenia fosse un organismo coloniale, o persino l'animale più strano mai esistito, dotato di un sistema di bocche multiple. Il mistero ha continuato a restare tale per oltre dieci anni, finché non venne finalmente ritrovato un fossile nell' Amgan Stage, negli Stati Uniti, che permise di iniziare a capire come stessero realmente le cose.

Sopra è sotto

La svolta fu il ritrovamento e la descrizione di Microdictyon robisoni Bengtson, Matthews et Missarzhevsky, 1986. Questo piccolo organismo fu solo il primo membro di questo prolifico genere di animali cambriani, caratterizzati dalla presenza di dieci paia di scleriti e di diverse zampe tubulari, con quattro tentacoli più corti nella regione posteriore situati ventralmente. La somiglianza di questi piccoli organismi con Hallucigenia era sospetta, ed il sospetto diventò certezza quando, nel 1992, furono trovate traccia di una seconda fila di  tentacoli, che si rivelarono pertanto essere in realtà zampe. Anche questa "stranezza cambriana" era stata vittima delle sue piccole dimensioni (si parla di una lunghezza massima, nelle tre specie di Hallucigenia sinora descritte, di circa 3 centimetri), della sua relativa rarità e del cattivo stato di conservazione in cui versavano i reperti. Pertanto, con questi nuovi dati era possibile ribaltare il piccolo animale, e le spine divenivano finalmente degli strumenti atti a difendersi ed i tentacoli dei veri e propri mezzi di locomozione. Addirittura, la somiglianza relativa con i moderni Onycophora portò ad ipotizzare che si trattasse di un rappresentate di questo gruppo. Infine, la struttura globulare si trovava realmente nella porzione anteriore, però come hanno mostrato anche alcuni recenti ritrovamenti del Chengjiang non era priva di organi di senso (sono stati ritrovati gli occhi), né tantomeno così arrotondata; quella forma anomala era in realtà dovuta allo schiacciamento durante la fossilizzazione ed alla decomposizione.

Realmente un onicoforo?

Tuttavia, nonostante l'organismo sia stato messo nella giusta posizione, non pochi dubbi permangono attorno ad esso. Hallucigenia era realmente un Onycophora? In molti ritengono che lei, Microdictyon e simili altri organismi del Cambriano siano da radunarsi in un phylum a parte chiamato Lobopoda. Secondo altri, invece, Onycophora sarebbe da intendersi come un taxon interno a Lobopoda o un suo sister group. Addirittura, c'è la possibilità che altri enigmatici gruppi del Cambriano come Dinocaridida possano anch'essi essere collocati all'interno di questo gruppo. Le tesi sono molteplici, ma la reale posizione sistematica di Lobopodia (ed il suo valore) restano sostanzialmente incerti. Segno, anche questo, che abbiamo appena incominciato ad interrogarci su quali siano i reali enigmi cambriani.

BIBLIOGRAFIA

Conway Morris, "A new metazoan from the Cambrian Burgess Shale of British Columbia", Paleontology, vol. 20, pp. 623-640
Bengtson, Matthews & Missarzhevsky, "The Cambrian Net fossil Microdictyon", Problematic Fossil Taxa, vol. 5, pp. 97-115, 1986
Ramsk"The second leg row of Hallucigenia discovered", Lethaia, vol. 25, pp. 221-224, 1992
Steiner, Hu, Liu & Keupp, "A new species of Hallucigenia from the Cambrian Stage Wulongqing Formation of Yunnan (South China) and the structure of sclerites in lobopodians", Bulletin of Geoscience, vol. 87, pp. 107-124, 2012
Ma et al., "Morphology of Cambrian lobopodian eyes from the Chengjiang Lagerstätte and their evolutionary significance", Arthropod Structure and Development, vol. 41, pp. 495-504, 2012


sabato 20 aprile 2013

Stranezze cambriane, capitolo III: enigmi dentati

Continua la serie di post dedicata alle stranezze cambriane: dopo lo strano caso del Nectocaris e le curiosità degli Anomalocarididae, è giunto il momento di occuparsi del terzo taxon di questi fossili misinterpretati, ovverosia di Odontogriphus omalus Conway Morris, 1976.

Strane incisioni...

Questo animale, di dimensioni medio-grandi per l'epoca (l'olotipo è lungo 4,6 centimetri), era ricostruito con un aspetto in effetti assai curioso: almeno superficialmente segmentato, con uno strano organo dentato circolare simile ad un lofoforo nella parte inferiore. L'organismo era noto sulla base di un singolo esemplare, quindi (come Nectocaris) apparteneva agli organismi curiosi e per giunta di difficile reperimento ed attribuzione tassonomica.


L'olotipo USNM 196169, impronta e controimpronta (con o senza luce polarizzata) (da http://burgess-shale.rom.on.ca/en/fossil-gallery/view-species.php?id=90&m=12&)


Una ricostruzione storica di Odontogriphus: si possono vedere la segmentazione ed il lofoforo dentato (da http://old.sinodino.cc/data/2006/0714/article_1275.htm)

In effetti, Odontogriphus era più o meno attribuile ai Lophotrochozoa, cioè al gruppo di Protostomia (taxon sulla cui validità tassonomica non mi voglio dilungare, basti sapere che vi sono validi motivi per dubitarne) che include, tra le altre cose, Annelida e Mollusca. Tuttavia, anche ciò era origine di dubbi: nessun gruppo moderno presenta lofofori (una struttura tentacolare ciliata che circonda il cavo orale, per capirsi) dentati. A causa di ciò, questo animale è stato persino ritenuto essere un Conodonta, ovverosia un appartenente al gruppo di animali che è stato uno dei più grandi misteri della paleontologia (oggi sappiamo che quei microfossili sono in realtà parti dell'apparato boccale di un gruppo di Chordata estinto, probabilmente situato all'interno dei Vertebrata). Certamente, la sua forma insolita lasciava supporre una qualche similitudine non ben definita con gli appartenenti al phylum Annelida; in fondo, l'apparente metameria e segmentazione superficiale poteva far ritenere che Odontogriphus fosse un curioso verme imparentato con esso, sia pure alla lontana. Tuttavia, il piccolo animale piatto è rimasto un mistero per trent'anni esatti, mantenendo fede al significato del suo nome (letteralmente "enigma dentato").

...o semplicemente strani tempi?

Anche in questo caso, il povero organismo del Cambriano era stato vittima della sua (relativa) rarità e dello stato di conservazione, scarso ed incompleto, dell'olotipo. Nel 2006 infatti uno studio completo condotto su oltre 189 esemplari, di cui molti preservati in modo eccellente, hanno rivelato dettagli dell'anatomia dell'animale inediti. Tanto per cominciare, la lunghezza massima era circa doppia rispetto a quella dell'olotipo, inoltre il presunto lofoforo non era tale, bensì che si trattava di una radula.


Un esemplare di Odontogriphus (con o senza luce polarizzata) in posizione ventrale: si può vedere la radula e quello che potrebbe essere il piede (da http://burgess-shale.rom.on.ca/en/fossil-gallery/view-species.php?id=90&m=9&)

La radula, come ben si sa, è un fattore comune nei Mollusca, anzi è tipico di quel gruppo. La struttura chitinosa e dentata di questo taxon di animali era ben visibile in diversi esemplari di Odontogriphus. Come se non bastasse, gli esemplari non presentavano segmentazione (plausibilmente un difetto di fossilizzazione dell'olotipo) ma degli ctenidi laterali, in maniera non dissimile da quello dei Mollusca odierni. Addirittura, è molto plausibile l'esistenza di un piede (di diametro sensibilmente più ridotto rispetto al "mantello" nella sua interezza), non molto diverso da quello esistente, per esempio , nei Gastropoda odierni. Questi non sono segni irrefutabili dell'appartenenza di questo animale ad un phylum moderno (anche se ciò è molto probabile), ma diversi di essi sono condivisi con un altro enigmatico organismo del Burgess Shale, Wiwaxia corrugata Walcott, 1911.


Impronta e controimpronta di Wiwaxia corrugata, senza o con luce polarizzata (da http://burgess-shale.rom.on.ca/en/fossil-gallery/view-species.php?id=132&m=5&)

Anche le affinità filogenetiche di questo curioso animale marino, lungo pochi centimetri e coperto da strane squame allungate, per molto tempo erano state incomprensibili; tuttavia, la presenza di una radula anche in questo caso porta alla conclusione che anche questa creatura sia legata ai Mollusca. E' sufficiente questo per definire sia Odontogriphus che Wiwaxia (specialmente quest'ultima, vista la forma del corpo assolutamente peculiare) come dei parenti cambriani delle moderne cozze e vongole? Secondo alcuni no, però ora sono collegabili ad essi, ed anche se non appartenessero ai Mollusca, potrebbero tranquillamente rappresentare dei sister group, o persino appartenente ad uno stem group (cioè un gruppo parafiletico di animali in cui una porzione, a cui appartiene l'antenato comune, è stata esclusa; per esempio Dinosauria senza gli uccelli è uno stem group, dato che Aves appartiene filogeneticamente ad essi) con loro e, forse, altri Lophotrochozoa (Annelida in primis).
Tornando nello specifico ad Odontogriphus, sono state infine proposte due possibili spiegazioni riguardo alla sua rarità nel biota del Burgess Shale: o che si trattasse di un organismo effettivamente poco diffuso (o magari vivente principalmente a profondità inferiori), cosa che reputo probabile dato che l'analisi della radula ha rivelato che si nutriva raschiando il substrato, o che in alternativa potessere essere un animale natante, 
 travolto solo raramente dalle frane sottomarine che hanno portato alla formazione del gaicimento. Tuttavia, è difficile che un organismo con questa forma potesse essere un abile nuotatore, e non è pertanto molto probabile che fosse bentonico. Comunque sia, questo è soltanto uno dei dubbi che dovranno essere definitivamente sciolti attorno a questo animale, inclusa la sua reale posizione tassonomica (sia pure non più così oscura come in passato).

BIBLIOGRAFIA


Bengston & Conway Morris, "A comparative study of Lower Cambrian Halkieria and Middle Cambrian Wiwaxia", vol. 17, pp. 307-329, 1984
Caron et. al., "A soft-bodied mollusc with radula from the Middle Cambrian Burgess Shale.", Nature, vol. 442 (7099), pp. 159-163, 2006
Butterfield & Nicholas, "Hooking some stem-group "worms": fossil lophotrochozoans in the Burgess Shale.", BioEssays : news and reviews in molecular, cellular and developmental biology., vol. 28 (12), pp. 1161-1166, 2006
Caron & Jackson, "Palaeoecology of the Great Phyllopod Bed", Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, vol. 258, pp. 222-256, 2008
Smith, "Mouthparts of the Burgess Shale fossils Odontogriphus and Wiwaxia: implications for the ancestral molluscan radula.", vol 279 (1745), pp. 4287-4295, 2012

venerdì 12 aprile 2013

Stranezze cambriane, capitolo II: gambero, medusa e oloturia

Continua in questo capitolo la storia delle scoperte più misinterpretate o curiose riguardo agli animali del Burgess Shale, risalenti al periodo Cambriano (per la precisione a cavallo tra il Drumiano e la Quinta Era, stando alle più recenti suddivisioni cronostratigrafiche, ovverosia intorno a 505 milioni di anni fa). In questo post tratterò uno dei gruppi di animali più caratteristici del Paleozoico, ovverosia i Dinocarida e, in special modo, i generi Anomalocaris e Peytoia.

Bizzarrie del Cambriano

Quando Charles Dolittle Walcott, nel 1911, scoprì il giacimento del Burgess Shale nella Columbia Britannica, non aveva idea di quanto sarebbe divenuto importante per la nostra comprensione della vita cambriana e dell'evoluzione di certi phyla di animali (come Mollusca e Arthropoda). Inoltre, molto del materiale risalente a quel periodo, come abbiamo già visto per Nectocaris (ecco il link), era scarso, incompleto o semplicemente di difficile catalogazione, senza contare la filosofia paleontologica del tempo, ovverosia che gli organismi molto antichi dovevano essere necessariamente imparentati, più o meno strettamente, con quelli odierni. In fondo, se ci si aspetta una determinata cosa, si tenderà ad interpretare i fatti secondo le proprie aspettative; e questo non è una mancanza tipica di Walcott, bensì è una caratteristica intrinsecamente umana (e la scienza, in quanto prodotto dell'essere umano, non è esente degli errori che nascono da ciò). Il segretario del prestigioso Smithsonian Institute, semplicemente, ebbe a che fare con categorie di organismi oggi non più esistenti (o ad esemplari appartenenti a taxa ancora oggi esistenti ma semplicemente troppo danneggiati o bizzarri per poter essere immediatamente ricondotti ad essi), e non riconobbe questo. Il caso dell' Anomalocaris (e anche di Peytoia e "Laggania") può essere fatto risalire a questo.
In effetti, fin dall'inizio il Burgess Shale cominciò a donare strani reperti, che si tentò di incasellare in categorie adesso viventi. Un esempio fu il ritrovamento di queste tracce, che furono chiamate Peytoia nathorsti Walcott, 1911




Una vecchia ricostruzione del biota del Burgess Shale: tra le altre cose (di cui discuterò), si può anche ammirare un banco di Peytoia natanti (da http://www.biologiamarina.eu/Mari_Preistoria.html)

L'organismo che le aveva lasciate venne interpretato come una curiosa medusa a forma di spicchio d'ananas. Per quanto possa sembrare bizzarra, in effetti questa interpretazione era l'unica (o quasi) possibile per questo organismo, che in fondo non esibiva occhi, né zampe, né tantomeno un sistema nervoso o organi e apparati riconoscibili di alcun genere. Se il reperto appariva di chiara origine organica (e lo era), ben più difficile era determinarne l'appartenenza tassonomica. Chiunque, vedendo strutture del genere e non sapendo di cosa si tratta, difficilmente potrebbe darne un'interpretazione giusta, tanto più in un'epoca in cui le conoscenze e le metodologie paleontologiche (e zoologiche) erano meno raffinate rispetto ad oggi. Ma le stranezze cambriane sorte dalla fine dell'800 in poi non erano destinate a diminuire, anzi ad aumentare.

Olotipo di Anomalocaris canadensis con cartellino (da http://burgess-shale.rom.on.ca/en/fossil-gallery/view-species.php?id=1&m=4&)

Un altro curioso organismo, rinvenuto originariamente alla fine del XIX secolo ma che fece la sua comparsa anche nel giacimento del Burgess Shale, era Anomalocaris canadensis Whiteaves, 1892. Questa curiosa creatura fu inizialmente interpretato come la parte posteriore di un qualche Crustacea, sebbene fosse indubbiamente un addome assai curioso. Anzitutto, nessuno degli esemplari in questione possedeva il cefalotorace, al che Walcott (indipendentemente dall'interpretazione di Whiteaves) ipotizzò che si trattasse della parte terminale o di un'appendice raptatoria di Sidneyia inexpectans Walcott, 1911, un Arthropoda di dubbie affinità tassonomiche (forse imparentato con i Chelicerata) e poco comune anche nel giacimento della Columbia Britannica di provenienza. Ancora una volta, il Canada offriva fossili che si facevano beffe dei ricercatori, dato che erano destinati a suscitare stupore e incomprensioni piuttosto che poter essere facilmente collocati in qualche raggruppamento tassonomico in maniera inequivocabile.



Anche "Laggania cambria" Walcott, 1911 era un altro curioso organismo trovato nel Burgess Shale.  Inizialmente il dott. Walcott la interpretò come una primitiva oloturia, salvo poi essere riclassificato alternatamente come un Polychaeta o una spugna con associata una medusa Peytoia. Tuttavia, questi tre diversi organismi, appartenenti a tre phyla assolutamente distinti (Cnidaria, Arthropoda e Echinodermata), condividevano qualcosa di assolutamente imprevedibile, qualcosa che però emerse negli anni '80 durante una revisione tassonomica operata da Whittington.

Il destino del gambero, della medusa e dell' oloturia

Da un reperto fossile emerse che i tre animali erano in realtà parti di un animale più grande (o almeno, "Laggania" era propriamente parte di Peytoia, Anomalocaris sarebbe rimasto un genere a parte anche se appartenente alla stessa famiglia): l'Arthropoda costituiva le appendici raptatorie, il Cnidaria l'apparato boccale e l'Echinodermata il corpo di un organismo che non apparteneva a nessuno di questi tre phyla. Addirittura, un organismo che con ogni probabilità non appartiene ad un phylum oggi esistente.


Fossile completo di Anomalocaris canadensis (da http://www.bloodsprayer.com/tooth-and-claw-anomalocaris-canadiensis/

Le parti del corpo infatti appartenevano a degli Anomalocarididae, ovverosia grandi invertebrati predatori tipici del Paleozoico. Questa famiglia, sita all'interno dell'ordine Radionta nella classe Dinocarida (a sua volta considerata o appartenente ai Lobopoda o sita in un phylum a parte), appartiene ad un sister-group degli Arthropoda, ovverosia presenta caratteristiche artropodali pur non appartenendo a questo gruppo. La presenza di appendici raptatorie e boccali articolate nonché di occhi composti li accomunano a quest'ultimi, tuttavia una serie di altre peculiarità (dalla posizione delle branchie sino alla struttura del corpo, con dei tipici lobi carnosi usati per nuotare) li pongono al difuori di essi. Nonostante ciò, la tassonomia di queste enigmatiche creature è continuamente dibattuta, a tal punto da essere ritenuti da alcuni degli Arthropoda primitivi; personalmente, però, reputo questa ipotesi improbabile, anche e soprattutto viste le somiglianze che certe forme sembrano esibire con alcuni Lobopoda ancestrali del Cambriano. Ad ogni modo questo gruppo di invertebrati (che esibisce, come appurato nel giacimento di Chengjiang in Cina, l'animale più grande sinora ritrovato del Cambriano, con una lunghezza stimata di oltre due metri) presenta tutta una serie di peculiarità e di caratteristiche (ancestrali e non) da renderlo di estremo interesse sia per lo studio del biota marino paleozoico sia per l'evoluzione dei Lobopoda e degli Arthropoda moderni. Sicuramente queste creature poco conosciute ed ancor oggi dibattute (soprattutto dal punto di vista delle affinità tassonomiche, anche se io personalmente propendo per un'appartenenza al phylum Lobopoda o comunque sia ad una parentela stretta con esso e con il phylum Arthropoda) ci riserveranno ulteriori sorprese in futuro. Basti pensare, ad esempio, a Parapeytoia yunnanensis Hou, Bergstrom & Ahlberg, 1995, un organismo simile ad un Dinocarida ma presentante le zampe articolate tipiche degli Arthropoda e che ha rimesso in discussione la filogenesi dell'intero gruppo (nonché se appartenga realmente a questo phylum), per rendersi conto del dibattito ancora in corso su questi abitanti dei mari cambriani.

BIBLIOGRAFIA

Conway Morris, "Laggania cambria Walcott: a Composite Fossil", Journal of Paleontology, vol. 52, no. 1, pp. 126-131, 1978
Gould, "Wonderful Life", W.W. Norton &Company, 1990
Xian-Guang, Bergström & Ahlberg, "Anomalocaris and other large animals in the lower Cambrian Chengjiang fauna of southwest China", GFF, vol. 117, 1995
Xianguang, Bergström & Jie, "Distinguishing anomalocaridids from arthropods and priapulids", Geological Journal, vol. 41, pp. 259-269, 2006 
Van Roy & Briggs, "A giant Ordovician anomalocarid", Nature, vol. 473, pp. 510-513, 2011
Peterson et. al., "Acute vision in the giant Cambrian predator Anomalocaris and the origin of compound eye", Nature, vol. 480 (7367), pp. 237-240, 2011
Daley & Bergström, "The oral cone of Anomalocaris is not a classic "peytoia", Naturwissenschaften, vol. 99, pp. 501-54, 2012
Peng, Babcock & Cooper, "The Cambrian Period", in "The Geological Time Scale", cap. 19, pp.  437-488, 2012

mercoledì 10 aprile 2013

Stranezze cambriane, capitolo I: lo strano caso del pesce-gambero

Con questo articolo inizio il ciclo delle "stranezze cambriane", ovverosia su quegli animali del Cambriano che, per un motivo o per un altro, sono stati oggetto di bizzarre, errate o curiose interpretazioni.

Prologo

Una delle difficoltà più evidenti di studiare i resti fossili degli organismi del Cambriano è dovuta sia alla rarità di giacimenti di quel periodo, sia al fatto che molte di queste creature avevano un corpo molle o scarsamente sclerotizzato. Pertanto, non solo è difficile rinvenire giacimenti (di cui un esempio storico e molto famoso è il Burgess Shale in Canada) contenenti fossili ben conservati, ma talvolta è ben difficile capire quali siano le reali affinità tassonomiche ed anche solo il reale aspetto dell'animale in questione. Di esempi è piena la storia: si pensi, ad esempio, Anomalocaris, i cui resti sono stati per decenni ritenuti essere animali di specie differenti (ma di questo parlerò più approfonditamente nei futuri articoli). Non deve stupire anche se diversi altri animali, come Nectocaris pteryx Conway Morris, 1976 hanno subìto lo stesso destino.

Direttamente da un bestiario medioevale?


Come si può ben vedere, le prime ricostruzioni di questo piccolo animale (l'olotipo misura poco più di un centimetro e mezzo) rappresentano una creatura quantomeno sconcertante, simile ad un essere emerso da un bestiario medioevale: testa di Arthropoda e corpo di Chordata, un essere simile ad un pesciolino a cui è stata asportata la testa e ne è stata messa una di gambero al suo posto, con delle strane appendici all'estremità simili a delle corte antenne. Nectocaris pare essere, in effetti, secondo questa visione, una creatura ben strana, che unisce in sé dei tratti tipici dei Chordata ad altri degli Arthropoda, due gruppi filogeneticamente lontani gli uni dagli altri: i primi Deuterostomia, i secondo Protostomia (quale che sia la validità di questa categoria tassonomica). I primi muniti (almeno in fase embrionale) di notocorda, i secondi invece di esoscheletro chitinoso, e così via. Comprensibilmente, Nectocaris appariva sconcertante dato che riuniva in sé le peculiarità di gruppi così distanti da loro, ed era giustamente oggetto di continue perplessità, che si conclusero apparentemente quando il professor Alberto Simonetta, nel 1988, attribuì il misterioso animale ai Chordata, dato che nell'unico (all'epoca) esemplare ritrovato apparivano i resti di una struttura tubulare, interpretata come un notocorda. Tuttavia, la storia di questa misteriosa creatura non era finita.

Un Cephalopoda primitivo?

In effetti, dei nuovi studi pubblicati nei 2010 hanno fornito un risultato sorprendente: Nectocaris era un organismo per certi versi incomprensibile perché non ben conservato, semplicemente. Il fossile aveva subito processi decompositivi e diagenetici che lo avevano pesantemente alterato, schiacciandone e ribaltandone il corpo e riducendo i lunghi tentacoli frontali a dei moncherini. In effetti, i nuovi resti di Nectocaris sono molto diversi dall'olotipo: niente testa da insetto (o gambero), niente strutture assimilabili ad una notocorda o a pinne sostenute da raggi, niente che possa far pensare ad un Chordata o ad un Arthropoda.


Le fotografie dell'articolo di Smith & Caron, illustranti vari esemplari di Nectocaris in diverse posizioni (da http://www.nature.com/nature/journal/v465/n7297/fig_tab/nature09068_F1.html)

Piuttosto, gli esemplari esibiscono due tentacoli cefalici ben pronunciati, pinne laterali, un ampio canale assiale e delle branchie; in un altro esemplare, compare quello che si direbbe essere un imbuto ben sviluppato. Quella che era stata interpretata come una notocorda coincide, in realtà, con il canale assiale, cioè quello che dovrebbe essere lo stomaco dell'animale. Ragionevolmente, in base a questi nuovi esemplari Nectocaris potrebbe essere un Mollusca, magari persino un Cephalopoda primitivo privo di parti dure. Una scoperta eccezionale che però è già stata soggetta a critiche, a tal punto che è stato persino riassegnato ai Dinocarida assieme ad Anomalocaris; tuttavia, al momento l'ipotesi più plausibile rimane quella di un Cephalopoda primitivo, o quantomeno un essere che assomiglia molto ad un Cephalopoda (o ad un Mollusca) primitivo. La cosa che più stupisce è, in effetti, l'assenza di una conchiglia interna o esterna: dal momento che i più antichi appartenenti a questo gruppo di animali si suppone si siano evoluti dai Monoplacophora, l'assenza di questa struttura è quantomeno sospetta. Tuttavia, questa interpretazione getta nuova luce su altri possibili Cephalopoda cambriani, come per esempio Vetustovermis planus Glaessner, 1979 (che potrebbe essere, ad onor del vero, persino un sinonimo di Nectocaris), da lungo tempo ritenuti essere organismi di dubbia collocazione e che adesso potrebbero trovare posto in questo taxon. In ultima analisi, questa interpretazione di Nectocaris e (probabili) parenti consentirebbe di retrodatare di oltre una decina di milioni di anni la comparsa dei primi Cephalopoda, che sarebbero pertanto ben più antichi di quanto supposto in precedenza; infatti, i primi fossili di sicura attribuzione a questo gruppo di invertebrati (come Plectronoceras del Jiangshaniano, circa 490-495 milioni di anni fa) sono decisamente più tardi. Infine, l'assenza di conchiglia (presente ad esempio in Plectronoceras) potrebbe indicare che Nectocaris sia in realtà un organismo già piuttosto derivato e non una forma poi così arcaica come si potrebbe pensare.

BIBLIOGRAFIA

Dzik, "Origin of Cephalopoda", Acta Palaeontologica Polonica, vol. 2, pag. 161-188, 1981
Simonetta, "Is Nectocaris pteryx a Chordate?", Bollettino di zoologia, vol. 55, pag. 63-68,1988
Smith & Caron, "Primitive soft-bodied Cephalopods from the Cambrian", Nature, vol. 465, pag. 469-472, 2010
Mazurek & Zaton, "Is Nectocaris pteryx a Cephalopod?", Lethaia, vol. 44, pag. 2-4, 2011
Kröger, Vinther & Fuchs, "Cephalopod origin and evolution: A congruent picture emerging from fossils, development and molecules", BioEssays, vol. 33, pag. 602-613, 2011

giovedì 4 aprile 2013

E la pantera diventò erbivora

Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme,
il leone mangerà la paglia come un bue,

ma il serpente mangerà la polvere,

non faranno né male né danno

in tutto il mio santo monte». Dice il Signore

(Isaia 65,25)

Chi ha letto il “Libro della Giungla” di Rudyard Kipling (o quantomeno ne ha visto la versione cinematrografica disneyana o sia stato negli scout) conosce il personaggio di Bagheera, la saggia pantera nera che funge da guida per il protagonista Mowgli. Bagheera, nonostante sia un grande felino, non attacca mai Mowgli, anzi lo difende; in sostanza, anziché soddisfare i suoi istinti predatori il personaggio (che la porterebbero senz'altro a mangiare il "cucciolo d'uomo") preferisce evitarli per aiutare il suo protetto. Nella realtà e non nella finzione c'è un ragno chiamato proprio in onore del personaggio di Kipling che si comporta in maniera simile: non si nutre prevalentemente di altri animali, come gli altri Araneae, ma è sostanzialmente vegetariano.

Un esemplare di Bagheera kiplingi davanti ad una Pseudomyrmex sp. (da http://ianimal.ru/topics/pauk-vegetarianec-bagheera-kiplingi)

Bagheera kiplingi Peckham & Peckham, 1896 è un piccolo ragno della famiglia dei Salticidae (i cosiddetti ragni saltimbanco, vista la loro peculiarità di poter spiccare balzi notevoli) originario del Centro America (Costa Rica, Messico e Guatemala), con la peculiarità di nutrirsi prevalentemente dei corpi beltiani delle piante del genere Vachellia, un genere di acacie. I corpi beltiani sono il risultato del rapporto mutualistico fra questi alberi e le formiche del genere Pseudomyrmex, dato che si tratta di strutture altamente proteiche e nutrienti evolutesi appositamente per sostentare questi piccoli insetti, che rimangono così per molto tempo su queste strutture fogliari. Quando un animale vegetariano, in certi casi anche notevolmente più grande di loro vista la notevole aggressività di questi Hymenoptera, sfiora o mangia una di queste strutture le formiche reagiscono attaccandolo in forze per proteggere la loro fonte di cibo. Ovviamente, le formiche non si limitano a difendere l'albero ospite ma predano anche altri animali, sopraffacendoli grazie alla loro ferocia ed all'elevato numero di esemplari. I piccoli Salticidae, però, vista la loro agilità, sono capaci di eludere attivamente le temibili formiche, riuscendo a nutrirsi dei corpi beltiani. Addirittura, come ha dimostrato l'analisi degli isotopi stabili di azoto e carbonio, per questi animali si tratta della fonte di sostentamento principale, e di larga misura. Infatti gli esemplari messicani (per quelli costaricani la componente animale della dieta è sensibilmente maggiore) per circa il 90 %, indipendentemente dal sesso e dall'età, si nutrono delle secrezioni dei corpi beltiani (e occasionalmente anche del nettare delle stesse piante); inoltre, dato che il restante 10% circa è composto da larve di Pseudomyrmex, altri membri più piccoli della stessa specie (seppure raramente) e mosche nettarivore si può concludere che la dieta di Bagheera kiplingi dipenda pressoché totalmente dagli alberi di Vachellia, dato che anche gli occasionali animali predati condividono anch'essi la loro dieta con questi Araneae.

Individuo di Bagheera kiplingi intento a nutrirsi dei corpi beltiani di un albero di Vachellia (da http://ianimal.ru/topics/pauk-vegetarianec-bagheera-kiplingi)

Infine, nonostante molti ragni siano tendenzialmente solitari ed aggressivi nei confronti di altri membri della stessa specie o di specie diverse, Bagheera kiplingi non presenta sostanzialmente territorialità intraspecifica, dato che migliaia di esemplari possono vivere sulla stessa pianta. Ciò è spiegabile col fatto che il Salticidae centro-americano possiede un regime alimentare poco dedito alla predazione, inoltre la disponibilità di cibo abbondante ed immediatamente reperibile mitiga i fenomeni di cannibalismo. Tuttavia, Bagheera kiplingi non è qualificabile come ragno sociale dato che, nonostante presenti diverse caratteristiche in comune con i veri Araneae sociali (come certi Theriididae), quali il maggior numero di esemplari di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile (circa il doppio) e la sorveglianza della femmina verso i piccoli ancora nel nido (in cui è stato osservato in un caso la convivenza di uova, ragnetti ed adulti), manca della cooperazione per la cattura delle prede. Ovviamente, il passaggio da una dieta prevalentemente insettivora ad una prevalentemente vegetariana (e per giunta così specializzata) deve essere stata segnata non solo da cambiamenti comportamentali, ma anche da cambiamenti fisiologici notevoli.

Ne resterà solo una?

I Salticidae, con le loro 5000 specie descritte, sono una delle famiglie di ragni più numerose del globo; inoltre, esistono ben oltre 35000 specie di ragni al difuori di questo taxa. E' possibile, data questa enorme varietà, che soltanto Bagheera kiplingi sia un Araneae sostanzialmente vegetariano? Io credo di no, e sono convinto che le piccole dimensioni e, in certi casi, la rarità di alcune specie siano all'origine dell'apparente assenza (o rarità assoluta) del fenomeno dell'erbivoria tra i ragni, e credo che nei prossimi anni avremo altre gradite sorprese di questo tipo. 

BIBLIOGRAFIA
O' Dowd, "Pearl bodies as Ant Food: an Ecological role for Some Leaf Emergences of Tropical Plants", Biotropica, vol. 14, pag 42-49, 1982
Meehan et al., "Herbivory in a spider through explanation of an ant-plant mutualism", Current Biology,  vol. 19, no. 19, 2009
Jackson, "Nutritional ecology: a first vegetarian spider", Current Biology, vol. 19, no. 19, 2009