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lunedì 27 maggio 2013

Arthropodization in Progress

La filogenesi degli Arthropoda primordiali è assai complicata e, in definitiva, piuttosto incerta. A fianco infatti degli Euarthropoda (i "veri" appartenenti a questo gruppo), abbiamo vari esempi di organismi con essi imparentati ma mancanti di diverse caratteristiche ad essi associati; cioè, abbiamo degli animali a vari stadi di artropodizzazione ma che non sono ancora pienamente associabili con gli illustri parenti. Basti pensare ai Dinocaridida, con i loro occhi composti e gli arti raptatori articolati: sebbene appartengano ad un phylum a parte, non per questo non mostrano comunque segni di una artropodizzazione “in corso”. Pertanto, ogni nuova specie che contribuisca a risolvere questo caos, tra Arthropoda veri e propri, e creature che assomigliano a (o che addirittura sono quasi) questi ultimi ma non lo sono, è un balsamo. Inoltre, la domanda più interessante riguarda l'origine della “artropodità”, cioè delle caratteristiche che uniscono i membri di questo gruppo: a cosa serve avere un corpo parzialmente ricoperto da un esoscheletro di chitina, a differenza di quello degli Arthropoda moderni? Inoltre, quali vantaggi rilevanti poteva offrire una completa sclerotizzazione della superficie esterna, oltre a quelli ovvi come protezione contro i predatori? L'analisi cladistica e la scoperta di una nuova specie appartenente a questo stem-group propongono nuove ed interessanti spiegazioni.

Un gambero di nome
Nereocaris


a) ROM 61831, olotipo di Nereocaris. b) ROM 61832, paratipo. c) ROM 61833, paratipo. d) Dettaglio della regione oculare di ROM 61833; evidenziata nell'immagine c). e) Dettaglio delle appendici toraciche di ROM 61831, evidenziate nell'immagine a. f) Dettaglio dello stomaco di ROM 61833, evidenziato nell'immagine c. Le sigle significano: ah, uncini anteriori; as, somiti addominali; dk, rostro dorsale; en, endopodite; ep, peduncolo oculare; ex, esopodite; gut, stomaco; le, occhi laterali; ltp, processi laterali del telson; lv, valva sinistra; mg, ghiandole dell'epatopancreas;  mtp; processo mediale del telson; pm, materiale fotorecettivo; sf, orlo setoso; ts, segmenti del torace (da  http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/279/1748/4699/F1.expansion.html)


Nereocaris exilis Legg et al., 2013 è un Arthropoda proveniente dal Burgess Shale, pertanto appartenente al Piano 5 del Cambriano (intorno ai 510-505 milioni di anni fa). Si tratta di un organismo di dimensioni medio-grandi per il biota dell'epoca, dato che l'esemplare più lungo rinvenuto misura 142 millimetri dal confine superiore del carapace all'estremità del telson. Il carapace è di forma semi-ovoidale, lateralmente compresso (per questo gli esemplari sono conservati su un fianco), con una apertura frontale stretta che si espande notevolmente fino al margine dorso-ventrale posteriore dove si espande con un rostro quasi triangolare. Il margine posteriore è solo leggermente curvo. Sono presenti dei processi simili a dei corti uncini nel margine anteriore-ventrale. Sebbene la regione cefalica, scarsamente preservata, non presenti tracce di appendici, è possibile riconoscere due occhi composti peduncolati, aventi nei resti fossili sinora ritrovati un diametro massimo di 2.3 mm. La regione centrale di ogni occhio è costituita da un materiale altamente riflettente che si estende all'interno del peduncolo, interpretato come i resti fossilizzati del tessuto fotorecettivo. Tra i peduncoli si trova una protuberanza lunga fino a 3.9 mm. ; la presenza di una sostanza riflettente induce a ritenere che non si tratti di un'estrusione del carapace bensì di un occhio mediano particolarmente sviluppato, in maniera simile a Jugatacaris agilis Fu & Zhang, 2011. Gli arti sono biramosi, comprendenti un endopodite lungo fino a 8.6 mm. composto da 10 podomeri e da un piccolo esopodite semi-ovale con una fine peluria. Apparentemente, le appendici si trovano solo nel torace e diminuiscono di taglia via via che si avvicinano al margine posteriore del carapace. Il torace non è molto sclerotizzato, composto da 30-40 segmenti ad anello; sebbene sia assai plausibile, non è possibile dimostrare irrefutabilmente che ad ogni paio di appendici corrisponda un segmento. Invece, l'addome è molto allungato (occupa circa il 70% della lunghezza totale dell'animale) e ben sclerotizzato, nonostante i 60 somiti non siano distinti in tergiti e sterniti bensì costituiscano un unico anello.  I somiti prossimali al corpo sono più ampi rispetto a quelli distali. All'interno dell'addome è stata trovata una struttura mediale interpretata come lo stomaco, terminante con il telson. Si rinvengono anche delle strutture  che potrebbero essere delle ghiandole dell'epatopancreas. Infine, il telson porta tre gruppi di strutture spinose, caratterizzate da due processi laterali composti da tre elementi, di cui la componente più prossimale presenta delle corte spine lungo il processo posteriore-laterale mentre le parti distali sono più lunghe (fino a 33 mm.), spinose ed apparentemente fuse, e da uno mediale, lungo fino a 6 mm. e semi-triangolare. 
Plausibilmente, Nereocaris era un animale necto-bentonico, che sfruttava la parte posteriore del corpo per muoversi anziché le appendici toraciche, poco efficienti sia per camminare sul fondale sia per nuotare. La presenza di un rostro dorsale, dalla funzione simile ad una pinna, ed i processi del telson indicano che doveva essere molto agile oltre che veloce, e lo sviluppato apparato visivo doveva essere molto utile per accorgersi di eventuali pericoli. La cattiva preservazione delle appendici cefaliche non rende possibile determinare le modalità di alimentazione, sebbene l'assenza di apparati raptatori e masticatori adeguati porti ad escludere che si possa essere trattato di un organismo predatore. 

Arthropoda ed artropodizzazione



Cladogramma riguardo all'origine degli Arthropoda includente Nereocaris. I numeri alla base di ogni rappresentano ognuna delle caratteristiche artropodali visibili a fianco, e significano: 1, occhi composti; 2, braccia articolate; 3, arto biramoso e tronco di tipo artropodale; 4, veri arti raptatori; 5, sterniti ventrali distinti; 6, riduzione dei podomeri e presenza di una gnatobase rigida; 7, antenne; 8, madibole (da Legg et. al., vedi bibliografia)

Nereocaris appartiene al gruppo parafiletico dei cosiddetti "Arthropoda bivalvi", un clade che raggruppa una quantità di curiosi organismi ancestrali. In base all'analisi cladistica è stato possibile appurare che si tratta di un Arthropoda basale, anzi forse persino il più basale; addirittura, si può azzardare grazie a questo fatto una distinzione tra ciò che appartiene a quest'ultimo phylum e ciò che, invece, è stem-group o comunque sia appartenente al superphylum Panarthropoda. Si può definire, in base a questo cladogramma, che appartiene al phylum Arthropoda un organismo celomato (quale che sia la validità di questa categoria) schizocelico  a simmetria bilaterale, munito 1) primitivamente di occhi composti 2) di appendici articolate 3) primitivamente di appendici del tronco biramose ed articolate 4) di un esoscheletro del tronco di tipo artropodale (articolato e più o meno sclerotizzato, con una cuticola composta prevalentemente di chitina). Diciamo che, sulla base di questa nuova specie, sono queste caratteristiche il minimo comune denominatore per distinguere ciò che è realmente Arthropoda da ciò che non lo è; come si può notare, mancano infatti tutta una serie di tratti più derivati che si trovano invece negli Euarthropoda (quali le mandibole) e in altri organismi estinti (come arti raptatori e distinti sterniti ventrali). 
Una delle altre conseguenze di questa analisi è una possibile spiegazione riguardo all'origine dell'"artropodità": difatti, se Nereocaris era un organismo attivamente natante e si colloca alla base del gruppo, visto e considerato che anche gli Anomalocarididae (che sono il taxon più vicino agli Arthropoda conosciuto allo stato attuale) sono liberamente natanti non è lecito ritenere che lo sviluppo dei tratti tipici solo di Arthropoda (cioé appendici biramose ed articolate, nonché di un tronco di tipo artropodale)  si sia verificato per facilitare uno stile di vita natante? In fondo, un esoscheletro rigido permette un'inserzione più efficiente della muscolatura per il nuoto rispetto ad un corpo molle. Questa tesi è interessante perché non vede più un'origine strettamente bentonica o persino fossoria di questi animali, anzi è esattamente contraria a questa interpretazione e rimuove i cosiddetti "Megacheira" (quale che sia la validità effettiva di questo gruppo parafiletico) dal rango di taxon più basale, sostituendolo con gli "Arthropoda bivalvi".

BIBLIOGRAFIA

Fu & Zhang, "A New Arthropod Jugatacaris agilis n. gen. n. sp. from the Early Cambrian Chengjiang Biota, South China", Journal of Palaeontology 85(3), pp. 567-586, 2011
Legg, Sutton, Edgecombe & Caron, "Cambrian bivalved arthropod reveals origin of arthrodization", Proceedings of the Royal Society B 279, pp. 4699-4704, 2012

sabato 18 maggio 2013

Pardature trilobitiche

Uno dei fattori più difficili da fossilizzarsi è la colorazione. In effetti, gli esempi di tracce di pigmento pervenute a noi attraverso i millenni sono scarsi e da attribuirsi a fattori di fossilizzazione eccezionali. Pensiamo ad esempio ai mammuth, Mammuthus primigenius Blumenbach, 1799, dai cui corpi congelati nella morsa del gelo siberiano sono stati ricavati peli più o meno castani, o anche al piccolo dinosauro del tardo Giurassico Anchiornis huxley Xu et. al, 2009, dai cui resti incredibilmente ben conservati è stato possibile capire che il piumaggio doveva essere grigio, nero e rosso. E' un peccato che questi eventi siano così rari, dato che la colorazione è un fattore fondamentale nelle relazioni interne ad una biocenosi: dal mimetismo alla segnalazione sessuale, buona parte del modo di vivere degli organismi è legato alla percezione del colore; pertanto, la perdita della colorazione nella maggior parte dei fossili è indice inevitabilmente di una grande quantità di informazioni in meno sul modus vivendi degli animali. Tuttavia, non sempre è così, e a volte rimangono tracce di pigmentazioni ben più antiche del Giurassico.

Trilobita con le chiazze


Una foto di alcuni degli esemplari chiazzati: la lunghezza della scala è di un centimetro, tranne nell'esemplare B in cui è di mezzo centimetro (da http://geology.gsapubs.org/content/41/5/607/F2.expansion.html)


Da un recente studio compiuto su 25 Eldredgeops rana (Green, 1832) (solitamente noto come Phacops rana) del Givetiano (medio Devoniano, circa tra 388 e 382 milioni di anni fa) di New York è stato possibile capire il disegno della livrea di questi Arthropoda quando erano in vita. Su questi fossili, molto ben conservati, sono presenti dei piccoli gruppi di chiazze, non corrispondenti a tubercoli o simili escrescenze. Usando lo studio della sezione sottile e del SEM (scanning electron microscope, microscopio elettronico a scansione) è stato possibile appurare che appartengono allo strato più esterno dell'esoscheletro, e non si trattano pertanto di difetti di fossilizzazione indipendenti dalla morfologia degli animali. Ulteriori prove di ciò sono le strutture lamellari ed i pori interni a queste zone, privi di difetti e ben visibili. Inoltre, molte di queste chiazze hanno un contorno netto, a meno che non siano parzialmente sovrapposte. Infine, l'analisi con metodi WSD (wavelength dispersive spectrometry, spettrometria della dispersione delle lunghezze d'onda) e EDX (energy dispersive X-ray, dispersione dell'energia dei raggi-X) hanno indicato che la composizione delle chiazze è pressoché identica a quella del resto del fossile, essendo formate prevalentemente da calcite povera di magnesio. Quindi, le macchie non indicano degli accumuli locali di determinati minerali, conseguenza di difetti di fossilizzazione, bensì erano già presenti nell'organismo ancora in vita; ed il fatto che si trovino nella zona più esterna dell'esoscheletro e siano parte di esso (e che, quindi, non possano essere stati causati da eventuali organismi epibionti, né tantomeno siano luoghi d'inserzione di eventuali muscoli, dato che sono troppo superficiali) è compatibile col fatto che si trattino dei resti della colorazione. In effetti, questi segni potrebbero essere stati evidenziati dai processi diagenetici, tuttavia non è insensato ritenere alla luce di quanto detto prima che Eldredgeops avesse una livrea maculata e che questa possa essersi fossilizzata dato che, per esempio,  altri Arthropoda come i Crustacea (nonostante abbiano una struttura dell'esoscheletro diversa rispetto a Trilobita) hanno una pigmentazione associata a componenti calcificate. 

Resti famosi, colorazioni rare

Chiaramente, questa scoperta non indica quali siano stati i reali colori di questi Phacopida quando erano in vita, né tantomeno se fossero l'unica pigmentazione presente. Tuttavia, è interessante notare come anche un Trilobita molto noto e studiato (il mercato, soprattutto di falsi, dei resti di questo animale provenienti dal Marocco è ben sviluppato) continui a riservarci sorprese. Allo stesso tempo, questa scoperta non ci permette di dire a cosa servissero le maculature (una colorazione aposematica? O un disegno mimetico? O magari un pattern utile per il riconoscimento del partner, dato che in questi organismi gli occhi composti erano molto ben sviluppati?), però è notevole come anche un animale apparentemente "banale" e ben conosciuto possa continuare a riservare delle sorprese.

BIBLIOGRAFIA

McRoberts et. al., "Original spotted patterns on Middle Devonian phacopid trilobites from western and central New York ", Geology, vol. 45, no. 5, 2013

venerdì 17 maggio 2013

Nuovi Arthropoda, vecchia storia

Non è una novità l'invenzione di nuove categorie tassonomiche o una revisione delle affinità sistematiche, specialmente per quanto riguarda organismi molto lontani rispetto a noi nel tempo. Diversi animali un tempo ritenuti appartenere a determinati gruppi sono stati riassegnati ad altri taxa, per esempio, o persino ne sono stati creati appositamente di nuovi; e questo non solo riguardo a generi, specie o famiglie, ma persino a classi e phyla. Prendiamo ad esempio il caso dei Dinocaridida: dopo che si è riconosciuta nei resti fossili una unicità rispetto alle altre forme, si è provveduto a riunirli in una classe a parte collocata in Lobopodia nonostante fossero stati in passato ritenuti, per esempio, degli Arthropoda (che poi quest'ultimi siano effettivamente oppure no un crown-group o un sister-group, da collocarsi all'interno di un superphylum denominato Panarthropoda,  è ancor oggi oggetto di discussione). 

Piedi lamellati

Delle recenti scoperte hanno portato al taxon proposto dei Lamellipedia che, sulla base dell'analisi cladistica, risulta monofiletico. Praticamente, si tratterebbe di un gruppo di Arthropoda muniti di pigidium e di arti dotati di caratteristiche setole appaiate a formare delle lamelle, da cui il nome. In questa superclasse sarebbero da collocarsi diverse classi come Trilobita (ma non l'ordine Agnostida, che potrebbe essere pertanto uno stem-group) e Nektaspida, per citare i più famosi; tuttavia, le relazioni effettivamente esistenti tra questi gruppi sono ancora oggetto di dibattito. La scoperta di Arthroaspis bergstroemi Steim, Budd, Peel & Harper, 2013 contribuisce a questa discussione con nuovi ed importanti elementi, soprattutto riguardo all'evoluzione del primo taxon.

Uno scudo con le zampe



L'olotipo di Arthroaspis bergstroemi, MGUH 30382, impronta e controimpronta:  af sta per solchi assiali, C/T per limite cefalotoracico, cgd diverticula dell'epatopancreas del cephalon, en per endopodi, ex per esopoditi, ms per spine marginali del pigidiumOS per segmento occipitale, P1 per primo segmento del pigidium, T per tergiti (da Steim et. al., 2013, v. bibliografia)


Il nuovo organismo proviene dalla Groenlandia, più precisamente dal Sirius Passet Lagerstätte, collocato nel Piano 2 del Cambriano, ovverosia tra circa 521 e 514 milioni di anni fa. Si tratta di un Arthropoda di grandi dimensioni per il biota dell'epoca, raggiungendo i 215 millimetri di lunghezza, distinto sia dai membri dell'ordine Helmetiida a causa del cephalon semi-ellittico e privo di alloggi per lo sclerite preipostomiale (ovverosia precedente l'apparato boccale), sia dai Nektaspida per la glabella (il processo assiale tipico, per esempio, dei Trilobita) rialzata e segnata da dei solchi assiali, nonché per il segmento occipitale demarcato da degli anelli. Il margine del cephalon è delimitato da uno stretto ma netto distinto bordo, ben distinguibile dorso-ventralmente dal torace, composto da 14 tergiti trilobi. Il pigidium, composto da 11 segmenti, è lungo più di un terzo del tronco. In effetti, Arthroaspis è molto interessante perché presenta caratteristiche che ricordano  vari elementi tipici dei tre ordini sopraccitati, inclusa la presenza di arti molto simili a quelli dei Trilobita.

Sorprese cladistiche



L'analisi cladistica pubblicata su Steim et. al, 2013 (v. bibliografia)


L'analisi cladistica ha confrontato questo organismo ed altri appartenenti alla superclasse (inclusi Nektaspida e Trilobita)  e non (come dei membri di Crustacea e Chelicerata), prendendo in esame 74 caratteri. Da questa analisi non solo è stato possibile determinare che Lamellipedia sarebbe un sister-group monofiletico della superclasse Pancrustacea, e pertanto non strettamente imparentato con Chelicerata, ma anche che Arthroaspis ricade nella porzione basale di Trilobita assieme a SinoburiusPhytophyilaspis. Tra l'altro, ciò indica che la struttura del tergum degli Helmetiida è plesiomorfica in Lamellipedia.
In conclusione, questa nuova scoperta pone le basi per porre in relazione diversi Arthropoda arcaici con Trilobita, gettando nuova luce sull'origine di questa famosa classe.

BIBLIOGRAFIA

Steim, Budd, Peel & Harper, "Arthroaspis n, gen., a common element of the Sirius  Passet Lagerstätte (Cambrian, North Greenland),  sheds light on trilobite ancestry", BMC Evolutionary Biology 2013, 13 (99), 2013

sabato 11 maggio 2013

Una nuova famiglia di Arthropoda dalle grandi appendici dal Canada

E' stata appena descritta una nuova famiglia di Arthropoda cambriani appartenenti al gruppo parafiletico dei Megacheira (cioè con "grandi artigli", indicativo delle notevoli dimensioni degli arti raptatori presenti tra i membri di questo gruppo di scarsa validità sistematica), i Kootenichelidae. La famiglia è stata istituita sulla base della nuova specie Kootenichela deppi Legg, 2013. All'interno della medesima famiglia sono stati inoltre collocati i generi Worthenella, uno dei fossili di Arthropoda enigmatici provenienti dal giacimento del Burgess Shale,  Jianfengia e  Tanglangia, nonché è probabile l'appartenenza anche di Pseudoiulia cambriensis Hou & Bergström, 1998. 


Immagine dell'impronta dell'olotipo ROM 59948 di Kootenichela deppi e ricostruzione


L'animale, risalente al Piano 5 del Cambriano (tra i 510 e i 505 milioni di anni fa) della Stephen Formation, ha in effetti un aspetto piuttosto curioso che ha permesso di gettare nuova luce sulla reale collocazione di alcuni Arthropoda enigmatici.

Falsi millepiedi

Kootenichela deppi, il cui esemplare tipo è lungo 43.5 mm., è caratterizzata da un corpo lungo ed affusolato, composto da almeno 29 segmenti, ciascuno dei quali porta un solo paio di appendici  (caratteristica, questa, ancestrale in Arthropoda). Non ci sono evidenze della presenza di gnatobasi. Ad ogni modo la caratteristica più saliente è la presenza di due notevoli appendici raptatorie situate frontalmente (da cui è anche stato tratto il nome scientifico: "deppi" rimanda all'attore Johnny Depp, protagonista del film "Edward Mani di Forbice"), sicuramente usate a scopo predatorio. Non è possibile tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, fornire dei dati riguardo allo stile di vita di questo animale: sebbene possa essere stato persino nectobentonico e capace di nuotare per prolungati periodi di tempo, è più probabile che si trattasse di un organismo primariamente bentonico o fossorio. 
Effettivamente, l'aspetto complessivo di questo animale assomiglia all'unione tra un Myriapoda ed uno Stomatopoda, con un corpo munito di svariati segmenti dotati di arti e due grandi appendici atte alla predazione. Grazie all'analisi cladistica è stato possibile aggiungere ai Kootenichelidae anche Worthenella cambria Walcott, 1911, ritenuto sinora essere un organismo dalle incerte affinità con Arthropoda.


Impronta e controimpronta a luce polarizzata e non di USNM 57643, olotipo (e sinora unico resto) di  Worthenella cambria


In effetti, come per altre "stranezze cambriane", anche in questo caso la colpa dell'incertezza assoluta riguardo alle affinità sistematiche di quest'ultimo animale (nonché, probabilmente, anche di Pseudoiulia, sebbene in questo caso non ci siano sufficienti prove per un'attribuzione certa alla nuova famiglia) risiede in una cattiva conservazione del reperto, con il cephalon seriamente danneggiato (e, di conseguenza, mancante delle caratteristiche appendici).
L'attribuzione dell'animale alla famiglia Kootenichelidae è stato possibile reinterpretando i resti di corti appendici non come dei parapodi bensì come i tratti prossimali degli arti (più spessi, e quindi più facilmente conservabili, delle zone distali), oltre alla presenza di occhi (sia pure mal conservati), di evidenti parti sclerotizzate del corpo e  di oltre 50 segmenti.

BIBLIOGRAFIA

Conway Morris, "Middle Cambrian Polychaetes from the Burgess Shale of British Columbia", Philosophical Transaction of the Royal Society B, vol. 258 no. 1007, pp. 227-274, 1979
Legg, "Multi-segmented arthropods from the middle Cambrian of British Columbia (Canada)", Journal of Paleontology, vol 87 (3), pp. 493-501, 2013

mercoledì 8 maggio 2013

Scherzi d'autore

Dopo i molti post dal contenuto fin troppo serio, ho deciso di pubblicare un elenco dei più strampalati nomi scientifici pubblicati. Sebbene questo articolo sia chiaramente incompleto (per esempio ho evitato di mettere tutti quei nomi dedicati a questo o a quel cantante o attore), vorrei condividere questo elenco di nomi strepitosi, che indicano una vena di umorismo e doppi sensi neppure troppo nascosta tra i tassonomi, di cui molti ignorano l'esistenza.

Theora cadabra (Eames & Wilkins, 1957)

Originariamente, il genere del piccolo Bivalvia era Abra...

Agra vation Erwin, 1983




Sebbene il Carabidae in sé non provochi seccature (anzi, a dir la verità non ha caratteristiche incisive sugli altri membri della propria famiglia, eccetto il nome), ciò non toglie che sia stato nominato così visto il non poco sforzo necessario per catturarlo.

Aha ha Menke, 1977

Menke battezzò questa vespa australiana, appartenente alla famiglia dei Crabronidae, così dato che quando la vide la prima volta disse "Aha!".

Carmenelctra shechisme Evenhuis, 2002



(da http://adictamente.blogspot.it/2012_07_19_archive.html)

Leggendolo all'inglese, il nome binomiale di questo Diptera fossile appartenente alla famiglia dei Mythicomyiidae è "Carmen Electra she kiss me", rimandando a baci dati dalla famosa attrice e cantante americana.

La cucaracha Blesynski, 1966

Questa falena appartenente alla famiglia dei Crambidae è forse quella dal nome più evocativo e caratteristico, che rimanda alla famosa canzone messicana; sono altresì presenti tra gli altri La paloma Blesynski, 1966 ("la colomba"), La cerveza Landry, 1995 (cioè "la birra"), La bombacha Labdry, 1991 (come i caratteristici pantaloni). Diciamo che con un nome del genere di questo tipo è impossibile resistere dal fare giochi di parole durante la pubblicazione di nuove specie. 


In origine il genere di questa piccola salamandra priva di polmoni, appartenente alla famiglia Plethodontidae, era Oedipus, rimandando al famoso complesso di Edipo.

Pieza kake Evenhuis, 2002




Il nome di questo minuscolo Mythicomyiidae significa, chiaramente, "piece of cake", pezzo di torta.

Pollychisme, Peggichisme, Marichisme, Dolychisme e Florichisme

Opera dell'entomologo G.W. Kirkaldy, anche questi generi di Hemiptera rimandano a baci dati ad altrettante ragazze.

Thetys vagina Tilesius, 1802



La forma tubolare del corpo di questo Tunicata, in effetti, ricorda superficialmente l'apparato genitale femminile...

BIBLIOGRAFIA

Brusca & Brusca, "Invertebrati", Zanichelli, 1996