E' ben noto il problema della fossilizzazione di
organismi molto piccoli e privi (o quasi) di parti dure.
Questo genera non pochi grattacapi quando si vuole studiare la storia
evolutiva dei gruppi che presentano queste caratteristiche, dato che
le condizioni di fossilizzazione favorevoli sono poche e i giacimenti fossiliferi rari. Tuttavia, di
tanto in tanto queste condizioni si verificano e regalano alcuni degli esemplari più belli e dettagliati del mondo. Un esempio? Il
Carnico (Triassico superiore, tra circa 230 e 220 milioni di anni fa) di Cortina
d'Ampezzo.
In questa località è stato infatti
ritrovato uno dei giacimenti più antichi di ambra del mondo. Non
solo, in quei frammenti d'ambra sono stati rinvenuti i più antichi
acari del mondo. Triasacarus fedelei Lindquist e Grimaldi 2012 e Ampezzoa triassica Lindquist e Grimaldi 2012 sono stati una delle scoperte più
clamorose dell'anno passato, e non solo perché sono molto piccoli
(circa un decimo di millimetro) ma, comunque sia, perfettamente conservati, o perché sono più antichi di
qualsiasi altro acaro mai ritrovato in precedenza, ma perché
dimostrano con la loro anatomia l'ancestralità delle caratteristiche tipiche degli Eriophyoidea (la superfamiglia di acari
a cui appartengono) moderni. E, indirettamente, anche che il loro
comportamento doveva essere simile a quello degli Eriophyoidea
moderni.
Ampezzoa triassica (in alto) e Triasacarus fedelei (in basso) (da http://www.unipd.it/ilbo/content/imprigionati-nell%E2%80%99ambra-i-fossili-piu-antichi-hanno-230-milioni-di-anni)
Questi animali presentano infatti soltanto due paia di zampe nella fase post-larvale e non possiedono un apparato respiratorio, esattamente come gli Eriophyoidea moderni. Anche il fatto che siano stati ritrovati nell'ambra non è un caso: gli acari appartenenti a questo gruppo sono infatti dei fitofagi e dei parassiti delle piante. Sebbene delle oltre 3600 specie che abitano il globo solo il 3% si nutra sulle conifere, il fatto che le Magnoliophyta (cioè le piante con fiore) non esistessero nel Carnico (sarebbero comparse solo nel Cretaceo inferiore) e che le specie con caratteristiche più primitive esistenti oggigiorno si cibino ancora di conifere porta ad escludere la presenza di improbabili piante con fiore del Triassico superiore.
La specie ad oggi più simile a questi esemplari è Cymeda zealandica Manson & Gerson, 1986 della Nuova Zelanda, che si nutre però sulle felci ad albero (Cyatheales).
L'Italia (non) è un Paese per fossili?
L'Italia apparentemente non è un Paese
per fossili, o almeno per fossili spettacolari: in fondo, il Mazon Creek, Burgess Shale, Chengjiang o la
fantastica Morrison Formation non hanno equivalenti italiani, anzi
sono unici al mondo. Tuttavia, non bisogna cedere all'illusione che
l'Italia sia un Paese povero di fossili, anche molto antichi. Certo,
forse non troveremo mai Sauropoda o Theropoda paragonabili ai
blasonati parenti d'oltreoceano (ma non ci scommetterei; come diceva
James Bond, “mai dire mai!”), e sicuramente abbiamo una maggiore
abbondanza di fossili del Cenozoico rispetto a quelli del Paleozoico
e del Mesozoico, ma ciò non toglie che ciò che troviamo
appartenente a questi tempi più remoti sia d'indubbio interesse e di
grande valore. Tariccoia arrusensis Hamman 1990, Ampezzoa triassica e Triasarcus
fedelei per quanto riguarda la parte artropodale della faccenda (per
quanto riguarda la parte dinosauriana, e non solo, gli entusiasmanti
risultati degli ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti) sono tutti
esempi di quello che la ricerca paleontologica in questo Paese
continua a regalare; magari non saranno grandiosi o non
colpiranno l'immaginario collettivo come un Tyrannosaurus o un
Brachiosaurus ma sono per certi aspetti
anche più significativi, e accrescono continuamente la nostra
conoscenza della storia della vita.
Bibliografia
Schmidt et. al., "Arthropods in amber from the Triassic Period", PNAS, 2012
Manson & Gerson, "Eriophyoid mites associated with New Zealand ferns", New Zealand Journal of Zoology, vol. 13, pag. 120, 1986
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