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martedì 26 marzo 2013

Gli acari sognano conifere triassiche?


E' ben noto il problema della fossilizzazione di organismi molto piccoli e privi (o quasi) di parti dure. Questo genera non pochi grattacapi quando si vuole studiare la storia evolutiva dei gruppi che presentano queste caratteristiche, dato che le condizioni di fossilizzazione favorevoli sono poche e i giacimenti fossiliferi rari. Tuttavia, di tanto in tanto queste condizioni si verificano e regalano alcuni degli esemplari più belli e dettagliati del mondo. Un esempio? Il Carnico (Triassico superiore, tra circa 230 e 220 milioni di anni fa) di Cortina d'Ampezzo.
In questa località è stato infatti ritrovato uno dei giacimenti più antichi di ambra del mondo. Non solo, in quei frammenti d'ambra sono stati rinvenuti i più antichi acari del mondo. Triasacarus fedelei Lindquist e Grimaldi 2012 e Ampezzoa triassica Lindquist e Grimaldi 2012 sono stati una delle scoperte più clamorose dell'anno passato, e non solo perché sono molto piccoli (circa un decimo di millimetro) ma, comunque sia, perfettamente conservati, o perché sono più antichi di qualsiasi altro acaro mai ritrovato in precedenza, ma perché dimostrano con la loro anatomia l'ancestralità delle caratteristiche tipiche degli Eriophyoidea (la superfamiglia di acari a cui appartengono) moderni. E, indirettamente, anche che il loro comportamento doveva essere simile a quello degli Eriophyoidea moderni.


Questi animali presentano infatti soltanto due paia di zampe nella fase post-larvale e non possiedono un apparato respiratorio, esattamente come gli Eriophyoidea moderni. Anche il fatto che siano stati ritrovati nell'ambra non è un caso: gli acari appartenenti a questo gruppo sono infatti dei fitofagi e dei parassiti delle piante. Sebbene delle oltre 3600 specie che abitano il globo solo il 3% si nutra sulle conifere, il fatto che le Magnoliophyta (cioè le piante con fiore) non esistessero nel Carnico (sarebbero comparse solo nel Cretaceo inferiore) e che le specie con caratteristiche più primitive esistenti oggigiorno si cibino ancora di conifere porta ad escludere la presenza di improbabili piante con fiore del Triassico superiore.
La specie ad oggi più simile a questi esemplari è Cymeda zealandica Manson & Gerson, 1986 della Nuova Zelanda, che si nutre però sulle felci ad albero (Cyatheales). 


L'Italia (non) è un Paese per fossili?

L'Italia apparentemente non è un Paese per fossili, o almeno per fossili spettacolari: in fondo, il Mazon Creek, Burgess Shale, Chengjiang o la fantastica Morrison Formation non hanno equivalenti italiani, anzi sono unici al mondo. Tuttavia, non bisogna cedere all'illusione che l'Italia sia un Paese povero di fossili, anche molto antichi. Certo, forse non troveremo mai Sauropoda o Theropoda paragonabili ai blasonati parenti d'oltreoceano (ma non ci scommetterei; come diceva James Bond, “mai dire mai!”), e sicuramente abbiamo una maggiore abbondanza di fossili del Cenozoico rispetto a quelli del Paleozoico e del Mesozoico, ma ciò non toglie che ciò che troviamo appartenente a questi tempi più remoti sia d'indubbio interesse e di grande valore. Tariccoia arrusensis Hamman 1990, Ampezzoa triassica e Triasarcus fedelei per quanto riguarda la parte artropodale della faccenda (per quanto riguarda la parte dinosauriana, e non solo, gli entusiasmanti risultati degli ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti) sono tutti esempi di quello che la ricerca paleontologica in questo Paese continua a regalare; magari non saranno grandiosi o non colpiranno l'immaginario collettivo come un Tyrannosaurus o un Brachiosaurus ma sono per certi aspetti anche più significativi, e accrescono continuamente la nostra conoscenza della storia della vita.

Bibliografia
Schmidt et. al., "Arthropods in amber from the Triassic Period", PNAS, 2012
Manson & Gerson, "Eriophyoid mites associated with New Zealand ferns", New Zealand Journal of Zoology, vol. 13, pag. 120, 1986

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