Quest'aurea mitologica continua a circondare questo elusivo abitante degli abissi grazie alle
difficoltà per filmarlo ed osservarlo nel suo ambiente naturale, e
non solo per le difficoltà oggettive nel raggiungerlo quanto anche per la sua natura:
si tratta infatti di una creatura infastidita da forti luci e dal rumore di
motori e di simili oggetti, tendendo quindi a rifuggire batiscafi, sottomarini o ROV (Remote Operative Vehicle, un robot subacqueo comandato a distanza). Tuttavia, nonostante le difficoltà a
gennaio di quest'anno sono state rese pubbliche le prime immagini di un
Architeuthis vivente.
Il primo filmato di un Architeuthis nel suo ambiente naturale.
Le riprese sono state effettuate al
largo delle isole dell'arcipelago di Ogasawara, in Giappone, a 700
metri di profondità. L'animale, attirato con un esemplare di Thysanoteuthis
rhombus Troschel 1857 (un altro grande calamaro di acque profonde presente anche nel
Mediterraneo, che può arrivare al metro di lunghezza del mantello
per trenta chilogrammi di peso) usato come esca, era lungo all'incirca 4 metri (braccia incluse), tuttavia si può notare anche
l'assenza dei due tentacoli raptatori, molto più lunghi rispetto
alle altre appendici. Molto probabilmente l'animale ha perso le
proprie estremità in uno scontro contro un capodoglio o uno squalo,
anche se non è da escludere il cannibalismo: infatti, è stato
osservato che si tratta di Cephalopoda probabilmente dediti a
quest'ultima attività sugli esemplari più piccoli. L'esemplare di Thysanoteuthis è stato scelto come esca dopo che gli studi sul contenuto stomacale di alcuni
esemplari di Architeuthis hanno appurato che si nutrono prevalentemente di altri calamari e pesci abissali di taglia
medio-grande; inoltre, sono state usate luci per attirarlo con una banda spettrale simili a quelle della bioluminescenza prodotta da molte specie
abissali.
Una delle fotografie di Architeuthis rese pubbliche (da http://news.nationalgeographic.com/news/2005/09/photogalleries/giant_squid/)
Anche le precedenti foto del 2005 (scattate sempre in Giappone alla profondità di 900 metri),
immortalanti un esemplare di 8 metri di lunghezza totale, sono state utili per
comprendere un altro importante aspetto nella vita degli
Architeutidae che era sempre stato soggetto a ipotesi: a causa del basso rapporto tra la superficie delle
pinne e la massa del corpo e del, presumibilmente, piuttosto basso metabolismo
(si parla di un animale tendenzialmente ectotermo perennemente immerso in acqua a
temperatura compresa tra 10 e 4 gradi) era stato ipotizzato che il
calamaro gigante passasse la maggior parte del tempo fluttuante e
statico, con i lunghi tentacoli protesi avanti a sé, aspettando che
qualcosa gli sfiorasse o passasse abbastanza vicino da essere
percepito dall'animale (e in certi casi anche visto, dato che si
parla dell'animale con gli occhi più grandi del mondo, con un
diametro di 30 centimetri), per poi prodursi in un breve scatto e
catturare la preda sempre con le appendici più lunghe, in modo non
dissimile da altri grandi calamari abissali (come Magnapinna sp.).
Adesso sappiamo invece che Architeuthis è un predatore attivo e
natante.
Le origini mitologiche (nessuno)
Eppure, per molto tempo il calamaro
gigante è stato una creatura mitologica. Il leggendario kraken (che
ha avuto anche recenti comparse cinematografiche), l'enorme mostro
marino capace di affondare intere navi, inizialmente
chiamato haufgufa e comparso nel XIII secolo nella mitologia scandinava, è chiaramente ispirato
a questo animale. Inoltre si deve considerare che, in epoca storica,
gli episodi di spiaggiamento più eclatanti hanno interessato le basse
latitudini e, pertanto, non è fuori da ogni logica considerare che
ci possano essere stati eventi come quello che interessò Terranova in un passato più remoto. Eppure, fu solo con l'intervento della
corvetta francese Alecton (che riuscì a recuperare parte del
mantello di un esemplare ancora vivo in prossimità della superficie,
seppure probabilmente moribondo) che nei 1861 la scienza cominciò a
studiare realmente il genere Architeuthis. L'unico lavoro scientifico fatto sul calamaro gigante fino ad allora era uno studio di Steenstrup del 1857, che istituiva il genere Architeuthis con la specie Architeuthis dux. I motivi sono molteplici:
questo animale è di difficile osservazione ancor oggi, vive in un
ambiente inospitale, gli spiaggiamenti non sono particolarmente
frequenti ed interessano spesso regioni all'epoca poco abitate, e
nell'antichità era stato descritto come una qualche creatura leggendaria (vedasi il kraken o il
“monaco di mare” descritto da Cristiano III di Danimarca nel XVI
secolo). Questo conferiva alla creatura una patina più o meno consistente di leggendarietà non favorendo, purtroppo, lo studio scientifico. La fortuna tuttavia arrise agli studiosi quando avvenne un'ondata di spiaggiamenti a Terranova tra il 1870 e il 1880, che portarono decine di calamari morti o moribondi ad arenarsi su quelle coste e che, in misura minore, coinvolsero alla fine
dell'800 anche la Nuova Zelanda. I motivi di questi avvenimenti sono
sconosciuti, ma sembra si ripetano circa ogni 90 anni, come dimostra la nuova ondata di spiaggiamenti (seppure meno consistente) tra il 1964 e
il 1967. E' plausibile ritenere che ciò avverrà di nuovo tra il
2050 e il 2060. Resta il fatto che la prima descrizione scientifica di
Architeuthis dux risale al 1857, dopo centinaia di anni di miti e
leggende attorno al kraken. Ciò che Steenstrup non poteva sapere ai
tempi della pubblicazione del suo lavoro era il caos tassonomico che si sarebbe
sviluppato attorno al grande calamaro nei decenni a venire.
La suddivisione tradizionale (otto)
La gran parte degli esemplari oggetto
di studi sono resti poveramente conservati, quali resti rigurgitati
dai capodogli (Physeter macrocephalus Linnaeus, 1758) o estratti dallo stomaco di questi animali. Anche gli
esemplari spiaggiati, per quanto di capitale importanza per la
comprensione della fisiologia e della distribuzione di questo
animale, spesso sono incompleti e praticamente sempre in fasi più o
meno avanzate di decomposizione. Chiaramente questi
esemplari spesso galleggiano per giorni, se non settimane, in balia delle correnti fino
allo spiaggiamento, e nel frattempo parti del corpo si distaccano
naturalmente o sono soggetti dell'attacco di altri animali marini
(squali e Cetacea in primis). Inoltre, possono passare ore o giorni
prima di essere individuati sulle coste, e di conseguenza possono
subire anche l'azione meccanica delle onde contro il fondale e l'attacco di animali terrestri. Come se non bastasse, spesso sotto l'effetto degli
agenti atmosferici avviene l'indurimento del corpo e la contrazione
dei tentacoli post-mortem, alterando in modo sensibile la morfologia
del calamaro. Di conseguenza, praticamente tutti gli esemplari di
calamari giganti nelle collezioni sono più o meno putrefatti e più
o meno alterati, spesso in modo notevole. Se a questo si aggiunge la
notevole difficoltà di reperire materiale fresco (esemplari pescati
e congelati immediatamente) e di acquisire riprese (fotografiche o filmiche)
di esemplari vivi si può ben capire il caos generale che ha
trionfato per oltre un secolo nella tassonomia del genere
Architeuthis. Negli anni, infatti, sono state descritte sempre più specie di calamari giganti, che alla fine sono arrivate ad otto:
Architeuthis dux Steenstrup, 1857
Architeuthis hartingii Verrill, 1875
Architeuthis japonica Pfeffer, 1912
Architeuthis kirkii Robson, 1887
Architeuthis martensi (Hilgendorf,
1880)
Architeuthis physeteris (Joubin, 1900)
Architeuthis sanctipauli (Velain, 1877)
Architeuthis stockii (Kirk, 1882)
In realtà, a parte Architeuthis dux,
A. sanctipauli e A. martensi i resti ritrovati erano così
frammentari che la maggior parte degli specialisti era concorde
nell'esistenza di solo queste tre specie. Tuttavia, come è
comprensibile, tralasciando le specie descritte solo in base di resti
incompleti e, pertanto, di difficile attribuzione, anche le
diversità tra le tre specie descritte su esemplari spiaggiati erano
così scarse, o così enormi, da generare una confusione tassonomica
virulenta e totale. La domanda chiave era: quante sono le specie di
Architeuthis? Otto, tre o un'aurea mediocritas? O magari, come
sostenevano alcuni, una sola specie cosmopolita? Ora pare che la
genetica abbia confermato quest'ultima ipotesi.
L'analisi genetica (uno)
In uno studio pubblicato su “Procedings
of Royal Society B” (vedi bibliografia), sembra che l'arcano sia
stato finalmente svelato. L'analisi del DNA mitocondriale effettuato
su quarantatré campioni di tessuto provenienti da tutto il globo (e,
per ovvi motivi, prevalentemente da carcasse in decomposizione)
rivela non solo che esiste una sola specie, Architeuthis dux, ma che
addirittura presenta una scarsa variabilità genetica: in soldoni,
facendo i paragoni con altri undici animali marini pelagici (incluso il
calamaro di Humboldt, Dosidicus gigas D'Orbigny, 1835), l'unico altro
animale con una “peggiore” varibilità genetica risulta essere lo
squalo elefante (Cetorhinus maximus Gunnerus, 1765). Questo non
significa che tutti i calamari giganti del globo siano strettamente imparentati,
non più di quanto io sia strettamente imparentato con un altro europeo; tuttavia,
rimane un fattore molto singolare e spiegabile con il fatto che le
larve, viventi a differenza degli adulti a basse profondità,
vengono trascinate dalle correnti finché non raggiungono una certa
taglia; dopodiché, si inabissano e si spostano poco allo stadio
adulto, riproducendosi in loco. A loro volta, le larve così prodotte
salgono a profondità minori lungo la colonna d'acqua e vengono
trascinate via dalle correnti ed il ciclo si ripete a svariate decine
(se non centinaia o persino migliaia) di chilometri di distanza,
vanificando eventuali fenomeni di isolamento. Un'altra possibile
spiegazione è che Architeuthis dux sia una specie originatasi in
tempi molto recenti dopo aver attraversato un “collo di bottiglia
evolutivo” (ovverosia dopo che la popolazione progenitrice si è
ridotta ad uno scarso numero di esemplari, da cui si sono originati
tutti i calamari giganti odierni).
Tuttavia, è presto per cantare
vittoria. Se la tesi della specie singola è molto plausibile, ciò
non toglie che potrebbe rivelarsi scorretta. Infatti, gli esemplari
delle collezioni storiche spesso sono stati conservati in formaldeide
che, come è noto, distrugge le strutture genetiche rendendo
impossibile l'analisi del DNA, mitocondriale o meno. Pertanto se è
lecito ritenere che, sulla base dei campioni esaminati, esista una
sola specie cosmopolita di Architeuthis, magari nelle profondità
marine si celano esemplari di un'altra (altre?) specie di calamaro
gigante appartenente allo stesso genere. In effetti, l'affidarsi solo
ed esclusivamente alle tecniche di analisi genetica può rivelarsi un
boomerang. Chiariamoci, non voglio assolutamente invitare a diffidare
della validità di questi esami, anzi; tuttavia, come per la
statistica, si tratta di strumenti che forniscono i risultati in base
a ciò che viene fornito loro. Risultati certamente attendibili, ma
infatti la questione non è se questi siano veri o falsi; la
questione è se i dati di partenza fossero realmente omnicomprensivi e rappresentativi.
Magari in questo momento stanno marinando nella formaldeide di
qualche collezione museale pezzi di un Architeuthis di un'altra
specie, o magari no; solo il tempo e l'affinarsi dei mezzi di
rilevamento di questi organismi abissali potrà dissipare ogni
dubbio. E la questione se esista una sola, tre o otto specie di
Architeuthis è solo una di quelle che circondano questi animali, dato
che ce ne sono un'infinità che ancora non hanno ottenuto risposta. Per esempio, esiste un periodo
riproduttivo? Se sì, quale? Quante uova vengono prodotte, e quali
sono i tempi di schiusa? Come fanno a riconoscersi i partner nel buio
degli abissi? Sono realmente cannibali o si trattava di casi di
autofagia? Quando si sono originati? Quali sono le relazioni trofiche con gli
altri grandi Cephalopoda che intersecano il loro
areale (come Mesonychoteuthis hamiltoni
Robson,
1925)? Compiono migrazioni orizzontali nella colonna d'acqua durante
la notte verso la superficie, come fanno molti altri organismi di
profondità? Qual'è l'aspettativa di vita media? Queste e molte
altre domande ancora oggi circondano questo elusivo abitante degli
abissi, a cui spero verrà data risposta nei decenni a venire.
BIBLIOGRAFIA
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dux (Cephalopoda: Oegopsida) from New Zealand waters”, New Zealand
Journal of Zoology, volume 31, pag. 15-21, 2004
Winkemann
et. al., “Mitochondrial genome diversity and population structure
of the giant squid Architeuthis: genetics sheds new light on one of
the most enigmatic marine species”, Procedings of the Royal Society
B, 180(1759),
2013
Kubodera
& Mori, “First-ever observation of a live giant squid in the
wild”, Procedings of the Royal Society B, 272(1581),
2005
Aldrich,
F.A. & E.L. Brown, “The Giant Squid in Newfoundland.”, The
Newfoundland Quarterly
Vol. LXV No. 3. pag. 4–8, 1967
Ellis, “Mostri del Mare”, Piemme, 2000
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